Quelle barriere invisibili che ci uniscono di più

Di Federica Broggi 5B Liceo Linguistico

“Presta attenzione!”. Un’espressione che fino a un anno fa non avrei mai pensato di sentire pronunciare sull’uscio di casa, prima della solita routine mattutina tra la corsa per il treno delle 6.44 – ritardi permettendo –, i 22 minuti a bordo del metrò e la mezzora in caffetteria prima di entrare a scuola, un momento in cui sono solita isolarmi da tutto, con un paio di auricolari, un caffè o un libro a tenermi compagnia.

Da un mese a questa parte, tuttavia, alla preoccupazione per gli impegni scolastici della giornata, si è aggiunta quella del dimenticarsi l’inseparabile mascherina, l’ansia per un colpo di tosse e gli sguardi di diffidenza in un caotico via vai di pendolari e studenti mattinieri, i cui volti mi sono ormai familiari. Spesso, in quarantena, oppressa dalle solite quattro pareti di camera mia, mi sembrava surreale il silenzio che incombeva spenta la telecamera e chiuso il computer a fine lezione. Come consolazione, mi convincevo che, nel momento in cui sarei uscita, il semplice fatto di mettere piede a scuola mi avrebbe riparato dall’affanno circostante. Ma così non è stato. Il rientro si è presentato come un grande punto interrogativo per tutti, un sollievo, con parole incoraggianti, a volte anche intimorenti, dei professori in vista della maturità, e gli sguardi vispi dei compagni che, tra confusione e gioia, si scrutavano intorno, come a capire cosa fosse cambiato. I corridoi sono sempre gli stessi e le classi anche, ma nell’ambiente, al Setti Carraro, c’è qualcosa di diverso. Il suono delle penne che picchiettano sui banchi, lo schiamazzo dei bambini delle elementari e medie in giardino, una volta un disturbo, adesso armoniosa colonna sonora. Eppure, le mura affrescate e gli arredamenti rinascimentali non emanano più la stessa vitalità di sette mesi fa.
Le misure adottate per garantire la sicurezza comune, tra banchi distanziati, pause in classe e registrazione di entrate e uscite dall’aula non rendono possibile quell’atmosfera: il senso di responsabilità ha prevalso sul piacere. Armati di borraccia e disinfettante, le lezioni si svolgono con la voglia, al cambio d’ora, di scambiare due parole tra di noi. A fine giornata, attenta ad evitare l’affollamento dei mezzi, torno a casa; disinfettati zaino, scarpe e mani, chiudo la porta dietro di me, consapevole del fatto che l’innalzamento di queste barriere invisibili non ha fatto altro che unirci ulteriormente.

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