Le novelle della III Liceo Classico
I ragazzi di III liceo classico, a conclusione dello studio di Boccaccio, sono stati invitati, se lo desideravano, a inventare una “novella 101” per il Decameron, con l’unica consegna di inserirla in una delle dieci “giornate”, rispettandone il tema, e adeguandosi, se possibile, allo “spirito” dell’Autore. Questi i risultati.
Laura Pizzetti
Francesca Argento, III LICEO CLASSICO
DECAMERONE, ottava giornata, “nella quale, sotto il reggimento di Lauretta, si ragiona di quelle beffe che tutto il giorno o donna ad uomo, o uomo a donna, o l’uno uomo all’altro si fanno”.
Novella undecima
Oghi è il saggio della città. La sua peculiarità è saper risolvere le questioni in modi che ad altri non verrebbero mai in mente! Così , un giorno, quando un giovane mendicante si presenta alla sua porta, accusato di aver rubato una rosa per la sua amata, quest’ultimo saprà risolvere il problema con una beffa di tutto rispetto
Charlie incominciò volentieri a raccontare di una beffa fatta da un saggio a un uomo, non certo con l’intento di giustificare ciò che il saggio fece, ma solo per dimostrare come con l’uso di una piccola beffa, si possono sistemare alcuni problemi.
Un giovane mendicante camminava lungo la strada del mercato: aveva desiderio di regalare all’amata una rosa rossa e profumata.
Sperando di trovare un po’ di fiori che facessero al caso suo, l’uomo entrò da un fioraio lì vicino e chiese una rosa rossa e profumata, ma fu costretto a lasciare il negozio a mani vuote.
Mentre usciva si fermò a guardare i ricchi signori che componevano mazzi con rose di ogni genere e colore, poi si chinò sulle rose che costavano troppo per un giovane mendicante, inspirò a fondo per godersi quel buon profumo e quindi si voltò tristemente per tornare sui suoi passi. Ma in quell’istante il fioraio uscì dal negozio e lo afferrò per un braccio.
-Dove vai così in fretta? Non hai pagato!-esclamò
-Pagare? Ma io non ho comprato nulla-farfugliò confuso il mendicante. -Ho solo annusato per un attimo le vostre rose.
-Allora mi devi pagare l’odore,-insistette il fioraio. -Pensi che venda le rose per permettere ai poveri mendicanti come te di rubarne il profumo? Ti ho visto mentre te ne approfittavi.
Come si può immaginare, il giovane mendicante non aveva abbastanza denaro da dargli, così il fioraio lo trascinò a casa di Oghi, il saggio della città. Questo ascoltò la sua storia con grande attenzione, tenendo conto sia delle esclamazioni indignate del fioraio sia delle proteste del mendicante che affermava di non aver rubato niente.
-E quindi tu non hai soldi?- chiese il saggio al giovane.
-Non arrivo neanche ad un euro- balbettò il mendicante terrorizzato.
Allora Oghi si rivolse al fioraio- E tu vuoi essere pagato per il profumo?- domandò.
-Proprio così- rispose il fioraio.
-Allora ti pagherò di tasca mia- disse Oghi.
Il saggio tirò fuori di tasca alcune monete e invitò il fioraio ad avvicinarsi. L’uomo avanzò trepidante. Allora Oghi alzò il pugno con i soldi all’orecchio del negoziante e scosse dolcemente la mano facendo tintinnare le monete l’una contro l’altra.
-Ora potete andare-disse infine.
Il fioraio ribatté seccato:-Ma i miei soldi…
-Quest’uomo ha rubato l’odore di una rosa-spiegò Oghi, -e tu sei stata ripagato con il suono del denaro. Ora vattene e torna al tuo negozio.
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Simona Berardini, III LICEO CLASSICO
DECAMERONE, seconda giornata, nella quale, sotto il reggimento di Filomena, si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine. Novella undecima
Come improvvisamente di una famiglia migliorò la vita
Nella seconda giornata, chiamata fu donna Simona a novellar sull’avventura occorsa al proprio padre, certo messer Ottavio, che, dall’assolata Fovea, fortuna trovò nell’eterna città.
Passati ch’eran due anni dalla conquista dei mondiali di calcio degli azzurri in Alemagna e circa sette dacché messer Ottavio a nozze convolato era con donna Daniela, era in arrivo, inaspettato e improvviso, ciò che la lor vita avrebbe migliorato; ah, dimenticavo che anch’io ero sopraggiunta e prossima ero a compiere il mio primo lustro.
Perché apprezzar possiate l’accaduto, precisar mi è doveroso, che attorno alla famiglia di cui sopra ce n’erano altre, tutte legate a loro da amicizia, con delle situazioni un po’ più salde, case più grandi e belle, e agli occhi di mio padre, messer Ottavio del casato Berardini, tutti parean più sistimati e a più tranquilla vita distinati.
Al dunque il fatto in sé risulta lo seguente: chiamato a Roma per un gioco a premi, fatto di abilità, di intuito e di “fortuna”, riuscì ad arrivar di questo alla finale dopo che eliminato ebbe, nell’ordine che elenco, un messere di Florentia e una donzella di origini romane. Per arrivare all’agognato premio, indovinar dovea una parola da nove lettere formata, celata dietro fulmini e saette col rischio di bruciar tutto il bottino.
Un po’ grazie all’intuito, un po’ grazie a una lettera ch’io bimba ripetevo e certo anche soccorso dalla bendata dea, quando il presentatore, il messer Conti, gli chiese la parol di pronunciare, lui disse “debuttare” e da quel giorno, la vita nostra in modo più sereno riprese a camminare.
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Edoardo Casiello, III LICEO CLASSICO
DECAMERONE, seconda giornata, “nella quale, sotto il reggimento di Filomena, si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia, oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine”. Novella undecima
Sei ragazzi decidono di fare una vacanza in barca a vela, ma qualcosa, combinato da uno di loro, rovina tutta la vacanza.
Ed Elissa iniziò a raccontare la sua storiella:
- Uno dei primi giorni di Luglio sei ragazzi iniziarono la loro vacanza per mare. Questi giovani, seppur di nazionalità differen-te, con il tempo avevano stretto una grande amicizia.
Il tedesco e molto preciso Franz, come al solito, era già arrivato all’uscita del terminal dell’aeroporto di Alghero. Erano già due ore che aspettava il resto della brigata quando si aprirono, per l’ennesima volta, le porte scorrevoli automatiche e comparvero il toscannissimo Lorenzo, appena arrivato da Firenze e che già aveva nostalgia delle colline toscane, Claude, proveniente da Nizza, già borbottante per il fatto che preferiva la leggera brezza della Co-sta Azzurra al vento Sardo e infine Pablo, spagnolo di Madrid. Franz, Lorenzo, Claude e Pablo si diressero alla stazione degli autobus dove già li attendeva John, tipico ragazzo londinese che, nonostante il sole italiano, aveva sulle spalle l’impermeabile e l’ombrello che spuntava da una tasca semiaperta dello zaino.
La brigata, unita e compatta, prese l’autobus, eccitata di rivedere il loro carissimo amico Xin, che dopo tanto tempo era riuscito a venire in Italia dalla Cina, per ritrovare gli amici di infanzia. Xin li aspettava già al molo dove era ormeggiata la barca di Franz. Il gruppo, giunto sul cabinato, iniziò a disfare i bagagli. Poi, tutti insieme e in formazione, decisero che prima di sera si doveva andare a fare provviste per tutto il weekend, che avrebbero trascorso lontano dalla terra ferma. Erano più o meno le 6 del po-meriggio quando i ragazzi tornarono con tutte le scorte.
La sera per cena decisero di fare una bella grigliata. Franz era un asso della griglia e il banchetto continuò, per circa due ore, accompagnato dal rumore del grasso che bruciava sulla griglia.
I Sei andarono a letto presto, ben sapendo che il giorno dopo avrebbero salpato e veleggiato verso l’arcipelago della Maddalena.
La mattina John si svegliò per primo e, con il suo passo pesante, camminava avanti e indietro sul ponte dell’imbarcazione, non pen-sando che il rumore prodotto del suo passo avrebbe svegliato tutta la ciurma. E così fu! In meno di mezz’ora tutti furono perfetta-mente svegli (erano solo le 6.30 del mattino).
Dopo il furore di Franz, che non aveva ben affrontato il risveglio all’alba, fecero colazione e salparono. In meno di 2 ore arrivaro-no a Capo Caccia e decisero di concedersi un bagno nella baia di Porto Conte. Si tuffarono tutti in quelle splendide acque cristal-line tranne Claude, che borbottava qualcosa sul fatto che prefe-risse la spiaggia di Canne.
La nostra banda, dopo quel favoloso bagno, levò l’ancora e riprese il viaggio. Mentre Franz timonava c’erano sul divanetto del poz-zetto John e Xin che chiacchieravano sulle differenze tra Capita-lismo e Comunismo. In prua c’erano Lorenzo, che leggeva “Il Vec-chio e il Mare“ di Hemingway, e Claude che scattava alcune fotografie. In coperta c’era Pablo, che provava tra mille difficoltà a cucinare la paella.
Continuarono la navigazione fino a sera quando, nei pressi di Stintino, trovarono una baia riparata per fermarsi la notte. Mollarono l’ancora. La paella era pronta, in men che non si dica Lorenzo e Claude imbastirono la tavola e tutti si sedettero a mangiare.
Dopo cena si sdraiarono sul ponte al chiar di luna ad ascoltare musica e chiacchierare. Attorno alle 23 la brigata decise di anda-re a dormire.
La mattina seguente la calma della sera prima era scomparsa e, con il mare agitato, iniziò a diluviare. Il vento era forte.
Il gruppo decise che era meglio navigare e cercare di allontanarsi dalla tempesta. Così fecero. Durante la tempesta Franz urlava or-dini alla ciurma. Xin fece inavvertitamente staccare una parte dei comandi del motore.
La barca uscì dalla tempesta solo 4 ore dopo, trovando un mare tranquillo, ma senza vento. Franz passò il comando a Lorenzo che decise di proseguire a motore. Lorenzo si guardò attorno e cercò di accendere il motore, ma, non trovando come poterlo avviare”) chiese agli altri come fare. Franz nel frattempo aveva deciso di andare a dormire. Gli altri 5 provarono in tutti i modi a proseguire e accendere il motore. Xin, solo dopo 2 ore, si convinse a confessare che nella confusione della tempesta credeva di aver fatto cadere qualcosa in mare. Pablo, poiché era uno studente di ingegneria, si propose per provare a far partire il motore manualmente. Purtoppo per Paplo, il motore di quella barca era molto diverso da quelli per aerei che aveva studiato e fece entrare acqua dentro il carburatore, distruggendo il motore. Lorenzo si accorse che anche la scotta della randa nella tempesta si era spezzata e, pertanto, neanche con il vento si sarebbe potuto navigare. Con tutto il baccano che facevano Claude e John arrabbiandosi con Xin, si svegliò Franz. Franz fece finta di nulla all’inizio cercando di dire che non era un problema non avere il motore funzionante, essendo su una barca a vela. Proprio quando Franz ebbe finito di dire ciò, arrivò sottocoperta Lorenzo e gli riferì della scotta rotta. Franz si arrabbiò e i ragazzi non osarono più parlarsi. Le batterie della barca si erano scaricate a causa della bella idea di Lorenzo, Pablo e Xin di vedere “Via col Vento”.
La cena fu molto silenziosa, gli unici suoni che si sentivano era-no le piccole onde che sbattevano contro lo scafo della barca. I Sei erano staccati dal mondo, non solo perchè le batterie erano scariche, ma anche per il fatto che erano esattamente in mezzo al mare senza potersi muovere. Fortunatamente avevano ancora da man-giare per qualche giorno.
Lorenzo e John affrontarono molto diversamente la tragedia: Loren-zo provò ad aggiustare il motore mentre John, in maniera spensie-rata, si mise a prendere il sole sul ponte. Pablo si chiuse nella cuccetta, Xin decise di cercare su qualche manuale della barca come aggiustare il motore per aiutare Lorenzo. Franz dalla cabina armatoriale cercava disperatamente di trovare delle pile per il
telefono d’emergenza con la speranza di riuscire a contattare i soccorsi.
Il caldo sole rosso si spense nel mare blu e l’euforia della prima sera ritornò sui volti dei 6 amici quando Lorenzo e Pablo inizia-rono a raccontare vecchi ricordi. Claude ad un certo punto disse di intravedere una lucina nel buio all’orizzonte. Franz prese il binocolo e vide che era una barca.
Scrutando nell’oscurità, notò che quella che brillava era una luce d’emergenza di una barca e, pertanto, se loro avevano allertato i soccorsi, questi ultimi sarebbero arrivati il giorno dopo a pren-derli e avrebbero visto anche loro. Passarono la notte svegli spe-rando nell’aiuto della barca avvistata in lontananza.
La mattina tutti stavano dormendo quando i soccorritori arrivarono ma si diressero verso l’altra imbarcazione, passando vicino indif-ferenti. I ragazzi si svegliarono e quella barca, la loro unica speranza, era andata via.
Lorenzo fece notare che anche le provviste stavano per finire e che sarebbe stato un serio problema. John, rassegnatosi a morire su quella imbarcazione, iniziò a suonare la sua armonica in maniera malinconica. Gli altri 5, non potendo più sopportare John e il suo maledetto strumento, iniziarono a litigare. Xin in un gesto d’ira strappò dalle mani di John l’armonica e la schiacciò col piede e la buttò in mare, giustificandosi con John dicendo che con il silenzio avrebbero potuto ascoltare se per caso arrivasse qualche barca. Più o meno a mezzogiorno Claude sentì il rombo di un motore e uscì sul ponte, stava per passare vicino a loro un motoscafo, i ragazzi iniziarono a gridare. Su quella barca c’era il vecchio scrittore giapponese Ioshi, che aveva deciso di finire la sua vita nei mari sardi e che aveva riconosciuto da lontano la barca del suo amico Ferdinand, padre di Franz.
I ragazzi, rallegrati di vederlo, gli raccontarono l’accaduto e furono trainati in porto.
I 6 ragazzi, la sera prima di riprendere ognuno il suo aereo e fare ritorno a casa, si riunirono in un ristorante di Alghero e mangiarono l’aragosta alla catalana, per festeggiare la loro salvezza.
Passarono in barca a prendere i bagagli e, tutti insieme, si diressero con l’autobus all’aeroporto. Giunti alla fine del Duty Free, prima di congedarsi, sapendo che non si sarebbero rivisti prima di un anno, Lorenzo disse scherzosamente: “Fortuna che c’è Xin che rompe anche le armoniche e non solo le barche!”. I ragazzi scoppiarono in una fragorosa risata al centro del terminal.
Si salutarono in fretta con la promessa di ripetere la vacanza l’anno successivo, sperando che Xin non avrebbe combinato altri disastri.
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Virginia Costantino, III LICEO CLASSICO
DECAMERONE, quarta giornata, “nella quale, sotto il reggimento di Filostrato, si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine. Novella undecima”
LUPUMENA ED EUFRONEO
Panteido narra la storia di due giovani innamorati. Lupumena è una giovane donna sofferente per la superficialità e l’ostentazione che caratterizza chi la circonda, si aspetta sempre di essere tradita, giudicata o delusa e dunque diffida da tutto e tutti. Il suo migliore amico nonché amato e unico punto di riferimento è Eufroneo, un giovane che vede il bicchiere sempre mezzo pieno e il sole splendere sempre e comunque. Le due personalità si equilibrano a vicenda, ma qualcosa romperà questo equilibrio.
Tutto ebbe inizio parecchi anni fa, quando due bambini si conobbero in tenera età; fu proprio quel momento a segnare per sempre le loro vite. Crebbero insieme, inseparabili, passavano ogni pomeriggio fino al crepuscolo sulle rive di un piccolo fiumiciattolo che scorreva nella modesta cittadina nella quale erano nati. Ogni giorno dinnanzi a questo fiume si confidavano pensieri e paure; lo chiamavano ‘’il Fiume della Verità’’, poiché sulle sue rive non potevano essere raccontate bugie. Era stata Lupumena ad attribuirgli questo nome dal momento che ciò che più la terrorizzava erano le menzogne.
Ella era di certo consapevole di vivere in mondo costruito sull’apparenza e non sulla sostanza ed era proprio questo a disgustarla e, allo stesso tempo, a terrorizzarla. Guardandosi attorno, la bambina, che pian piano era diventata una donna, vedeva persone ricercare disperatamente di essere qualcosa che non erano, ostentare quelle che ritenevano essere condizioni ideali e gettare un velo su quelle che erano invece reali: l’unico piccolo spazio nel quale poteva essere se stessa e sentirsi circondata di verità erano le rive di quel fiume.
Contrariamente alla visione pessimista di Lupumena, Eufroneo viveva in un mondo tutto suo, il suo sorriso era vero e autentico, i suoi pensieri freschi e dolci, i suoi sogni leggeri e profumati, era totalmente fuori dalla realtà, indescrivibilmente spensierato. I due sembravano essere complementari, come due angoli, l’una quasi totalmente chiusa in se stessa e l’altro quasi totalmente spalancato verso il mondo. Nonostante le diversità nessuno dei due avrebbe potuto trovare persona più adatta a sé, i loro discorsi navigavano come piccole zattere in argomenti vasti come oceani, sognavano ad occhi aperti, con la testa fra le nuvole, per poi ritornare sulla terraferma e riflettere su chi e cosa stava loro intorno. Il loro amore era puro, leale, vero e colmo di speranza, erano il sole e la luna, il caldo e il freddo, la calma e la tempesta, il bianco e nero, eccezionalmente uguali e contrari.
Fu una giornata di Febbraio a cambiare tutto: nella loro cittadina era giunta voce di un’epidemia apparentemente durissima da contrastare che stava uccidendo miriadi di persone; poco tempo dopo giunse anche una normativa che impediva a tutti di uscire, era ufficiale: il mondo era in uno stato di pandemia. Nessuno poteva uscire di casa, o meglio, poteva farlo solo per ragioni di estremo bisogno, non vi era una data di scadenza a questo incubo, era un tunnel da percorrere per una distanza indeterminata, senza nessuna luce ai lati, senza una luce visibile in fondo: certo, prima o poi sarebbe arrivata, ma nessuno poteva sapere quando. Da quel momento i due giovani dovettero smettere di vedersi: entrambi riuscivano a vedere dalla finestra il Fiume della Verità, e i morti erano così tanti, anche nella loro piccola città, che alcuni corpi dovevano essere gettati nel fiume per evitare il contagio con i becchini nell’attesa di essere seppelliti.
Lupumena leggeva libri su libri e rifletteva, pensava fino a farvi venire mal di testa, ma in questa temporanea realtà si sentiva incompleta, privata di ciò che per lei contava di più: il suo momento di verità con Eufroneo.
Passarono giorni, settimane, mesi, la gente stava impazzendo, ma non poteva fare altro, Lupumena scriveva lettere a Eufroneo, le metteva nel cesto della posta appena fuori casa sua, ma nessuna risposta arrivava mai. Lei, convinta che prima o poi almeno una sarebbe in qualche modo arrivata all’amato, continuava a scriverne, ma ciò che non sapeva era che tutte le lettere arrivavano a casa sua, ma lui non poteva leggerle. Eufroneo era morto poco dopo l’arrivo dell’epidemia in città, probabilmente era stato contagiato quando era andato a compare il pane, la carne o il pesce per la famiglia, questo nessuno potrà mai saperlo. Fu solo due mesi dopo la morte del ragazzo che i suoi genitori trovarono il coraggio di rispondere a tutte le lettere che si stavano accumulando e moltiplicando velocemente, troppo velocemente: il mondo sembrava loro correre nella direzione opposta rispetto a quella in cui stavano procedendo, sommersi e calpestati da eventi, assaliti dal tempo, sfiniti dal presente: così risposero alle lettere, così scrissero a Lupumena.
Era un pomeriggio di sole di fine aprile quando lei ricevette la lettera; il postino (uno dei pochi che svolgeva ancora il proprio lavoro) gliela infilò velocemente sotto alla porta, e lei la trovò mentre si stava per recare in cucina, la raccolse e vedendo l’indirizzo di provenienza, dentro di lei ci fu un tornado di emozioni: era stata, per una volta, ottimista e fiduciosa come Eufroneo le aveva insegnato, per la prima volta aveva creduto nel bene e si era affidata all’ottimismo. Era indescrivibile la sua felicità, portò la lettera nella sua stanza, a giudicare dallo spessore della busta doveva essere un foglio solo, una lettera breve avrebbe richiesto un tempo di lettura breve e, dunque, decise che avrebbe aspettato le condizioni perfette per leggerla, godendosi l’attesa del momento