La situazione europea colpita dall’emergenza Coronavirus
di Martina Pascale
La grave situazione provocata dalla pandemia da Coronavirus, l’ormai noto Covid-19, è innanzitutto un’emergenza sanitaria mondiale, con oltre 180 mila vittime (di cui 20.000 in Italia), ma, oltre a tutto questo, è una sfida senza precedenti all’equilibrio sociale, politico ed economico per tutti, a partire dall’Unione Europea.
Noi in Italia abbiamo per primi conosciuto la drammaticità dell’epidemia e l’ampiezza delle sue ripercussioni sulla vita degli individui e della collettività: il lockdown di tutte le attività (a parte quelle essenziali), gli ospedali messi a dura prova e sull’orlo del collasso in molti casi, le tristi colonne dei mezzi militari per trasportare le bare dalle località più colpite, come Bergamo e la sua provincia.
Ora però la crisi non è solamente italiana, ma riguarda tutti, ed è l’attesa di tutti che l’Unione Europea trovi una modalità condivisa di reagire, per fronteggiare l’emergenza e soprattutto i suoi impatti devastanti sull’economia. Di fronte alla prolungata paralisi dell’economia è chiaro che bisognerà attuare misure straordinarie per riavviare il ciclo produttivo e riassorbire lo choc che è scaturito dalla chiusura. Tantissime persone, infatti, hanno perduto o rischiano di perdere il lavoro e non hanno mezzi di sussistenza. Imprese e attività soccombono alle gravi difficoltà del momento attuale.
All’interno dell’Europa, pertanto, due grandi linee di pensiero sembrano contrapporsi. Volendo semplificare, da un lato ecco coloro che pensano sia meglio far da soli, ogni Paese, ogni governo per sé e per i propri cittadini. Le correnti considerate euroscettiche rilanciano le loro riserve sull’utilità e sul funzionamento dell’edificio europeo e, se invocano interventi dell’UE, sembra che lo facciano nella consapevolezza che tali interventi non ci saranno o, almeno, che saranno prospettati in termini inaccettabili per l’Italia, strumentalizzando ai fini politici l’emergenza.
Dall’altro lato, ci sono i sostenitori dell’UE, anch’essi tuttavia, in un frangente così straordinario della storia, concordi nella ricerca di strumenti nuovi e non convenzionali per affrontare l’emergenza. Tra questi strumenti inediti figurano i cosiddetti Eurobond, cioè titoli emessi non dai singoli stati, ma dall’Unione Europea, garantiti da tutti i Paesi membri, in proporzione al loro peso nell’Unione.
Su questi strumenti però, al momento, non c’è accordo. Si parla di divisione Nord-Sud, cioè di contrapposizione tra gli stati dell’Europa settentrionale, Germania in testa (ma anche Olanda, Austria, Finlandia) contrari a condividere debiti con Paesi già in precario equilibrio finanziario, l’Italia in primo luogo (ma anche Spagna, Grecia e Portogallo).
Si tratta dei Paesi fino a poco tempo fa indicati come PIGS (Portugal, Italy, Greece and Spain) dai giornali inglesi. Inutile dire che PIGS in inglese significa “maiali”. Humour britannico, ma fino a un certo punto. Sta di fatto, per di più, che nel frattempo gli inglesi hanno pensato bene (per loro) di abbandonare il progetto europeo, infliggendo con Brexit un duro colpo all’UE (ma forse anche al Regno Unito: staremo a vedere). Nel confronto Nord-Sud dell’Europa un ruolo importante di equilibrio e di cerniera potrà svolgerlo la Francia.
È difficile fare previsioni su come andrà a finire, ma vorrei concludere con una riflessione sull’impatto del Coronavirus sul motto che, dalla Rivoluzione Francese in poi, ha dominato le strutture socio-politico-economiche europee (ed occidentali): “Liberté, Égalité, Fraternité”.
Può risultare un po’ triste, magari, il mio punto di vista ma oggi vediamo che l’aggressione del virus ha inciso sulla libertà (siamo tutti bloccati in casa), sull’uguaglianza (le diversità di condizione esplodono, la crisi stritola in particolare i più deboli della società). Resta da vedere se la fraternità, la solidarietà tra individui e popoli uscirà rafforzata dall’esperienza tanto opprimente del Covid-19. Anche le misure economiche dell’UE saranno un importante capitolo da leggere.
E volendo dare uno sguardo a un futuro prossimo mi immagino un’uscita dalla pandemia, ancora di stretta attualità, molto graduale. Ed è giusto così. Finché non avremo un vaccino, non è pensabile correre il rischio di spingere sull’acceleratore. Di sicuro c’è un’immagine che in questi mesi ha prevalso, ed è stata un monito anticipatorio, la “telematica”. In tutti i settori: gli uffici hanno fatto ricorso allo smart-working, le scuole alla Dad, la sanità, per tutte le malattie diverse da Covid, ha dovuto impiegare la telemedicina. Di sicuro quindi il futuro sarà telematico, persino nel tempo libero: non riesco, per ora, a immaginare la calca negli stadi per un concerto o per la finale di Champions.
Preoccupa il divario tra Nord e Sud, a livello europeo, ma anche nella nostra Italia. Finché non ci sarà più solidarietà tra di noi, sarà difficile ipotizzare un percorso di “ristrutturazione” omogeneo e pertanto efficace.