La Scuola e i Giovani orfani di Luis Sepúlveda
Riflessioni sulla figura di Luis Sepúlveda e il nostro 25 Aprile
Sono trascorsi due anni da quando Luis Sepúlveda ci ha lasciati. Era il 16 aprile del 2020 quando lo scrittore cileno moriva di Covid in Spagna dopo una lunga lotta all’Ospedale di Oviedo, nelle Asturie. La sua ultima, grande lotta, come le tante che ha dovuto, e voluto, affrontare nella sua straordinaria vita.
“Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” è il libro che lo ha consacrato come scrittore di tutti, grandi e piccini. Tra le sue opere più conosciute ci sono anche “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, “Il mondo alla fine del mondo”, “Diario di un killer sentimentale” e “Le rose di Atacama”.
Anche il mondo della scuola, e non solo quello della letteratura, ha vissuto il lutto per la prematura perdita di un grande scrittore, poeta e intellettuale come Luis Sepùlveda. Prematura – nonostante i suoi settant’anni anagrafici – perché era un uomo in possesso di una forza ed una vivacità intellettuale lucida ed estremamente acuta, capaci di donare dei sogni e delle significative metafore a più di una generazione, ma anche di pronunciare degli accorati moniti, espressi da chi la Storia, quella più cruenta, le ingiustizie, la dittatura, la tortura, le aveva vissute sulla propria pelle. Aveva scelto la letteratura per «dar voce a chi non ha voce» e diceva sempre che si sentiva «cittadino prima che scrittore».
«Il mondo oggi non lascia spazio all’ottimismo. Se pensiamo alla deriva di estrema destra che si sta facendo avanti in Europa, quando pensavamo che gli europei avessero capito la lezione della Seconda Guerra Mondiale, c’è da riflettere. Abbiamo bisogno di una diversità di opinioni invece fondamentale per sviluppare la vita. Abbiamo bisogno di politici capaci di dire “la politica non è solo una forma di interesse privato, ma è una cosa più generosa”. Abbiamo bisogno di un immaginario collettivo per una nuova società per tutti. Una società di cittadini e non di miserabili consumatori».
Luis Sepúlveda, maggio 2019, Salone del Libro di Torino Dovevamo, potevamo averlo ancora con noi: abbiamo ancora bisogno di quel “realismo magico”, di cui Sepúlveda era straordinario esponente, anche non necessariamente letterario. Avevamo ancora bisogno della sua memoria: lui, testimonianza vivente di un passato che ancora fa sentire il suo ammorbante fiato sui nostri colli…
Sepúlveda, due anni fa, è diventato il simbolo più celebre di questa generazione che abbiamo visto scomparire, nel senso letterale della parola, per colpa della prima, terribile ondata della pandemia.
Perché se è vero che il futuro e la speranza è dei giovani, e nei giovani, viviamo un momento di oblìo storico in cui c’è ancora bisogno dei nostri “vecchi” – ai quali l’epoca contemporanea aveva donato una maggiore longevità – che ci ricordino il coraggio profuso in tante battaglie politiche e civili e di tenere ancora alta la guardia, affinché si continui per sempre a considerare certe ideologie, in ogni tempo e in ogni parte del mondo, un reato e mai un’opinione.
-Le Ragazze e le Educatrici del Convitto –