Il Quadro

Silence – Johann Heinrich Füssli

Un tuono irruppe dalla finestra. Rabbrividii. Mi ero rifugiata in un castello per scappare dal temporale che infuriava fuori e per scaldarmi alla luce del camino. Volevo dormire ma non ci riuscivo. Tutti gli scricchiolii che risuonavano erano alquanto spettrali e il fragore dei tuoni mi faceva sobbalzare. Il chiarore del fuoco era ormai il mio unico porto sicuro e la luce delle fiammelle vorticava come a creare una danza di bagliori
arancio-rossastri. Mi rilassai ascoltando il crepitio e mi accorsi che così forse sarei riuscita ad appisolarmi per qualche ora. Stavo per chiudere le palpebre, quando…BOOM!
Il mio cuore iniziò a battere molto velocemente. Un quadro era caduto senza alcuna ragione plausibile. Col cuore in gola mi sono avvicinata. Cercai di essere coraggiosa: in fondo era solo un quadro. L’ho preso in mano e l’ho girato. Era piuttosto inquietante. Una donna coi capelli del colore della luna era chinata su stessa, racchiusa nel suo mondo di eterno buio. Spostando le mani sull’intelaiatura ho sentito una specie di piastra di metallo. Così ancora spaventata, l’ho girato e ho notato un messaggio. “Attenzione voi che leggete, poiché avete in mano quella che potrebbe essere la vostra rovina”. In un’era molto lontana e in un regno dai confini ristretti, una bimba venne alla luce. Per essere precisi, una principessa. La neonata aveva capelli bianchi come la luna e un viso così pallido che poteva essere scambiato per quello di un morto. I suoi occhi erano di un azzurro così chiaro che poteva essere scambiato per bianco. Per concludere, era bella quanto sinistra. Nei primi anni di vita ci furono ben poche stranezze che potevano essere scambiate per coincidenze, ma quando divenne una ragazza la verità divenne chiara come la luce della luna. La giovane era una strega. Era cupa, rimaneva sola per ore e ore, odiava la luce. In più, durante la notte veniva trovata con i capelli che le coprivano il capo e le gambe incrociate mentre parlava in una lingua strana e perduta nominando re e regine morti da tempo. Il re era disperato. Il popolo si rivoltava: non avrebbero mai accettato una strega come regina. La ragazza doveva affrontare la pena riservata a quelle come lei. Il giorno del suo diciottesimo compleanno venne decapitata e gli occhi le vennero cavati, così che non potesse osservare la brava gente anche dall’inferno. Il re si depresse. La sua adorata e unica figlia era morta. La sognava di notte che chiedeva pietà sul patibolo e lui la negava crudelmente. Poi si svegliava e piangeva. “Cosa fare?” si chiedeva. Non poteva continuare con questo senso di colpa. Così in un momento disperato, chiamò un mago a corte e chiuse sua figlia in un quadro, dato che i colori danno vita alle immagini, in questo caso alle persone. Ordinò ai servitori di ricucirle la testa sul capo e mise il cadavere nella posizione nella quale la figlia parlava coi morti, in modo che quando il re fosse deceduto avrebbe potuto parlare con lei. Così il rituale venne compiuto e lei rivisse. Però che vita quella di un soprammobile, obbligata a fare da decorazione senza poter provare niente a parte noia e dolore. Il mago ebbe pietà della ragazza e fece una maledizione sul quadro. Il
mago predisse che in un futuro remoto la giovane avrebbe avuto la sua pace e la sua morte. In una notte tempestosa il quadro avrebbe accettato uno scambio. Donna per donna, così da mantenere l’equilibrio dell’universo. Nella morte la giovane avrebbe avuto la libertà”. Quando i miei occhi si staccarono dalla lettura mi accorsi che ero agghiacciata. Così alzai lo sguardo speranzosa al caminetto. Non feci in tempo a rilassarmi che una folata di vento più forte delle altre fece spalancare la finestra e spense la fiamma. Sprofondai nel buio. Ero terrorizzata. Un fulmine illuminò il quadro che lasciai cadere con orrore estremo, intanto che tornava il completo buio. Purtroppo l’immagine che avevo visto era inabissata nella mia mente. La ragazza aveva alzato lo sguardo mostrando al posto degli occhi due orbite vuote e nere come la pece. Un altro fulmine. Ora sul collo si era rischiarata una cicatrice che aveva cominciato a riaprirsi e a sanguinare inzaccherando gli abiti della giovane. Ritornò il buio. Ero pietrificata dalla paura. Non riuscivo a muovere un solo muscolo. Il terrore si era impossessato del mio corpo e riuscivo a fatica a respirare. Sentii con orrore che una cosa sudata, fredda e scivolosa che si avvinghiava alla mia caviglia e che mi trascinava verso di sé. Un altro fulmine lo illuminò. Era la mano della ragazza del quadro. Soffocai un grido e cercai di reagire, ma
non avevo più il controllo di me stessa e rimasi bloccata, finché il mio piede non incontrò la superficie liscia del dipinto che era divenuto una distesa di melma. Ci rimasi immersa. Sprofondai prima fino alla vita, poi il fango mi arrivò al petto. A quel punto mi svegliai da quella sorta di trance e cercai di nuotare, ma annaspai soltanto perché era troppo tardi. Dopo quello ci fu solo il buio. Fine!
Arianna Parazzi, 1^Classico

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