I ”gialli” delle seconde: ”Il delitto d’oro” e ”Tutto per un francobollo”
Il delitto d’oro
di Andrea Coco, Morgana Fischer, Francesca Giovanola, Ludovica La Camera e Mattia Natoli
16: 37 del 16 ottobre 2020. E’ un pomeriggio soleggiato a Milano quando Mr. Coco, il famoso investigatore, e la sua aiutante, Miss. Clarson, vengono convocati per un caso molto importante: la rapina di una medaglia e la scomparsa del primatista allo stadio Olimpico di Roma.
Andrea Coco è uno dei più grandi investigatori al mondo, attento osservatore dei dettagli, abile deduttore e pensatore, infatti non dà mai nulla per scontato.
Dall’esterno appare una persona chiusa, silenziosa e testarda, ma, se lo conosci bene, capisci che è simpatico, grazie alla sua ironia, che gli permette di non prendere le cose troppo sul serio.
Si veste sempre in modo sportivo per essere pronto a inseguire le tracce delle sue investigazioni, è alto circa 1 85 m ed è abbastanza magro, ha gli occhi marroni sempre sfuggenti, i capelli corti e castani con un ciuffo che spesso gli cade sulla fronte e che lo nasconde un po’, un naso più o meno grande e due orecchie piccole in perenne ascolto.
Mentre lavora si concentra molto e non si fa distrarre facilmente dalle varie cose che gli accadono intorno; non gradisce né feste né aperitivi.
Viaggia solo per lavoro e viene chiamato in tutto il mondo per risolvere omicidi, furti e misteri.
Durante i giorni liberi gli piace giocare a pallone con i suoi amici per ore finché non diventa sera, per poi mangiare con loro.
Se vai a trovarlo senza preavviso, lo trovi immerso nella lettura che interrompe però volentieri per ascoltarti e dedicarti il suo tempo e la sua attenzione.
Quando Mr. Coco arriva allo stadio, sono le 17: 05; la gara è finita da un po’ e la premiazione è terminata nel modo più brutto, con la scomparsa del vincitore: Armando Fischet.
L’atleta è perfetto per questo sport, ha iniziato ad avere questa passione all’età di quattro anni e da allora si è sempre aggiudicato una medaglia o una coppa in ogni competizione cui ha partecipato anche se, visto che nessuno è perfetto, non ha sempre vinto; mai però gli è capitato di non portare a casa un riconoscimento di partecipazione.
E’ un ragazzo di appena venticinque anni ed è amato da tutti, un gentiluomo perfetto, molto simpatico, ha i capelli biondi, è alto circa un metro e novantasei e ha gli occhi verdi acqua, spende ore ed ore ad allenarsi: lo sport è la sua vita.
I due investigatori, guidati dalla polizia che è arrivata prima di loro, iniziano ad avviarsi per andare nell’ultimo posto nel quale è stato avvistato il primatista: lo spogliatoio. Tutti dicono che sia andato lì per prendere dell’acqua ma forse questa non è la verità…
-Sarà pur successo qualcosa in questo spogliatoio- dice Mr. Coco pensieroso alla sua aiutante Rita Clarson.
-Beh, ovviamente- replica lei – E’ l’ultimo posto in cui è stato visto… non ci resta che cercare degli indizi e cominciare questa avventura-.
Dopo una ventina di minuti di ricerche Miss. Clarson esclama: – Guarda cosa ho trovato. C’è della polvere gialla sopra l’armadietto, cosa potrebbe essere? –
– Forse curry- ipotizza Mr. Coco, annusando la strana polverina – Ma potremmo chiedere conferma al cuoco dello stadio, che mi ha salutato mentre gli passavo davanti e si è presentato; come ha detto che si chiama? Ah, sì, Gianluigi Butti-
– Perfetto, chiamiamolo subito- concorda Miss. Clarson.
Dopo qualche minuto il cuoco arriva nello spogliatoio e conferma l’ipotesi di Mr. Coco, che, insieme alla sua efficientissima aiutante, inizia a fargli altre domande.
– Ha notato per caso che mancava del curry in cucina? – chiede lei.
– Si, molti miei clienti me l’hanno chiesto, così sono andato a cercare e ho visto che mancava- risponde Gianluigi.
– Ha visto qualcuno che si comportava in modo sospetto? – continua Mr. Coco.
– Non mi sembra, ma Rocco, un mio collega, in questi giorni era strano, di solito invece è socievole e simpatico, fa anche battute che divertono e intrattengono il personale-.
– Me lo potrebbe chiamare? – domanda Coco.
– Oggi non c’è, ha un problema familiare- risponde il cuoco.
– Ci potrebbe dare il suo numero per piacere? – chiede Rita.
– Assolutamente sì, prendo il telefono e glielo detto… allora: +39 333 743 2037. –
– Grazie per l’aiuto e a presto -.
Mentre escono dallo stadio, i due detectives decidono di dare un’ultima occhiata e, nascosto sotto una panca, trovano un biglietto di minaccia.
– Cos’è questo? – chiede Miss. Clarson.
– È un biglietto scritto in tedesco. C’è scritto Mi vendicherò per ciò che hai fatto Fischet – legge Coco.
– Come hai fatto a leggerlo? – gli domanda Rita.
– Ho studiato tedesco al liceo- risponde lui – Fischet è il cognome del primatista, ma cosa avrà fatto per suscitare desiderio di vendetta? –
– Magari si è dopato per vincere e chi ha scritto è il secondo arrivato – ipotizza Miss Clarson-.
– Beh, sta di fatto che, per chiarirci le idee, ora lo convocheremo per un interrogatorio; potresti andare a riferirglielo Rita, per favore? – .
– Certo, vado subito, tanto credo non se ne sia ancora andato – ribatte lei.
Dopo qualche minuto Miss. Clarson è già di ritorno con un bigliettino in mano.
– Allora? – chiede Mr. Coco incuriosito dall’espressione dell’aiutante.
– Pare che Mario Stevenson, il secondo posizionato, sia già tornato a casa perché aveva un impegno. In ogni caso il suo allenatore mi ha dato il suo numero di telefono, perciò lo contatterò per dirgli di presentarsi allo stadio -.
Miss Clarson, contattato anche Rocco, gli chiede, come per Stevenson, di incontrarsi allo stadio per discutere.
Poco dopo i due sospettati arrivano allo stadio domandandosi perché sono stati convocati; il primo ad essere interpellato è Rocco.
– Buongiorno Rocco, Le vorremmo porre qualche domanda- dice Mr. Coco.
– Certo, proceda pure -.
– Per prima cosa vorrei chiederLe se conosce il tedesco? – gli domanda l’investigatore.
– Sì, l’ho studiato al liceo- risponde Rocco.
– In che anno? –.
– Nel 1975 ho iniziato il liceo, perciò da quell’anno ho cominciato a studiarlo e poi ho continuato per i quattro anni successivi-.
– Le vorrei chiedere un’altra cosa, mi potrebbe scrivere su questo foglio il nome della Sua scuola? – gli chiede Mr. Coco.
– Certo, ecco – risponde l’uomo e esegue quanto gli è stato chiesto.
– Se non Le dispiace, Le chiederei di rimanere disponibile eventualmente in questi giorni. –
– Ok, nessun problema -.
– Grazie tante, arrivederci -.
– Perché gli hai fatto scrivere il nome del liceo? – chiede Rita a Coco quando Rocco se ne è andato.
– Per vedere se la scrittura su questo foglio è la stessa del biglietto- risponde con tono fiero lui.
– Saggia trovata! Ma combaciano? –
– No, quindi siamo quasi del tutto certi che non sia lui, ma non escludiamo neanche il fatto che potrebbe averlo fatto scrivere a qualcun altro. Signor Stevenson, venga pure – continua poi l’investigatore invitando il secondo sospettato a entrare. – Lei conosceva personalmente il primatista? –
– Sì, l’ho incontrato qualche mese prima della gara e siamo diventati buoni amici- risponde Stevenson.
– Ah, bene, che bello! L’ho visto un po’ agitato prima, quando è arrivato; perché? –
– Alla scoperta della sua scomparsa ero molto triste, e, quando mi avete chiamato, ho capito che sarei stato uno dei principali sospettati e ho avuto paura di essere condannato ingiustamente- dice ansiosamente Stevenson.
– Saremo scrupolosi, si fidi di noi, risolveremo il caso – afferma Coco, cercando di tranquillizzare l’uomo – Può andare per ora ma, se avessimo ancora bisogno di Lei, si faccia trovare pronto. A presto, Mr Stevenson -.
Dopo avere meditato un po’, il detective si rivolge alla sua collaboratrice: – Miss. Clarson, mi sono appena ricordato che l’ultimo che ha visto il primatista è il suo manager. Convochiamolo. Dalla Polizia avremo il suo numero -.
Dopo dieci minuti il manager è già lì.
– Buongiorno, vorremmo farLe alcune domande riguardo al caso. Lei cosa ha visto nello spogliatoio quando è entrato? – domanda Mr. Coco.
– Ho sentito dei rumori strani e mi sono affrettato per entrare, ma, quando sono arrivato, era ormai troppo tardi. Ho intravisto qualcuno che si allontanava e ho provato a rincorrerlo ma purtroppo ho dei problemi alle gambe e mi sono dovuto fermare. Posso dirvi che aveva dei capelli lunghi e bruni. – precisa il manager, il Sig. Potenza – Non ho visto niente altro, mi dispiace -.
– Grazie comunque per l’informazione, eventualmente La chiameremo. –
Mr. Coco e Miss. Clarson, a questo punto, decidono di andare in cerca di altre prove: per ora gli unici indizi sono il curry, il fatto che probabilmente l’assassino ha i capelli lunghi e scuri e il biglietto con le minacce, nulla di più.
In quel momento un agente li raggiunge trafelato: hanno trovato Fischet! E’ sul tetto della palazzina dove ci sono gli spogliatoi. L’uomo è a terra sanguinante e ferito alle gambe! Coco chiama subito l’ambulanza, ma oramai è tardi, l’atleta è in fin di vita. Fischet, in preda al delirio, pronuncia le sue ultime parole: – Siete tornati! Perché mi avete tradito, magnifici Fischet? Io avevo fiducia in voi -. Così Armando si spegne, i medici, giunti sul posto, cercano di rianimarlo, ma lo sforzo è vano.
Dopo che lo sportivo è stato portato via, Coco si confronta con la sua assistente: – Armando ha detto: “Perché mi avete tradito Fischet?”, quindi non si è suicidato ma è stato assassinato, inoltre non può averlo ucciso una sola persona perché ha parlato al plurale e ci ha scambiato probabilmente per qualcuno della sua famiglia che lo ha ridotto così. Infatti ha detto “Fischet”, il suo stesso cognome. Chiamiamo Stevenson, suo caro amico, forse Armando gli ha detto qualcosa -.
Coco compone il numero e, appena il telefono squilla, Stevenson risponde.
– Buongiorno Sig. Stevenson, abbiamo bisogno di Lei. Fischet Le ha mai raccontato qualcosa dei suoi familiari, del loro rapporto? –
– Mi aveva raccontato che non aveva dei buoni rapporti con loro, che spesso litigava e loro erano invidiosi dei suoi risultati e del fatto che era molto talentuoso, non solo nello sport -.
– Loro chi? – si intromette Miss Clarson.
– Beh, in generale i fratelli che lo odiavano per il suo successo. Ne aveva quattro di cui due ho anche avuto l’occasione di conoscere -.
– Grazie, Stevenson. Se avremo ancora bisogno di Lei, La chiameremo -.
Salutato Stevenson, i due detectives pensano di recuperare il telefono di Fischet e di recarsi nel suo appartamento per ispezionarlo. Il cellulare viene loro fornito dalla Polizia già sbloccato.
Arrivati a destinazione chiedono alla portinaia di mostrare loro la sua abitazione. Non trovano nulla se non un foglietto con l’indirizzo di un centro specializzato nella cura dell’alcolismo.
I due investigatori decidono allora di cominciare a interrogare i parenti e il giorno successivo si racano a casa del padre di Armando. Quando bussano alla porta, devono aspettare un po’ prima che qualcuno risponda. Alla fine apre il battente un uomo anziano e trasandato che li fa accomodare in un soggiorno disordinato, polveroso e buio (la luce elettrica è fulminata e dalle persiane socchiuse penetra poca luce). Ovunque sul tavolo ci sono bicchieri sporchi e bottiglie mezzo vuote. L’uomo emana un forte odore di alcool. Interrogato, risponde che non vede nessuno dei suoi cinque figli, Gilda, Calogero, Leopoldo, Genoveffa e Armando, da tempo. Da quando la moglie è morta è caduto in depressione e assume grandi dosi di alcool per cercare di dimenticare tutta la sua sofferenza, da allora i rapporti con i suoi magnifici figli sono diventati difficili. La sera prima ha saputo da un agente della morte del figlio e ha trascorso la notte a bere.
E’ chiaro che, ridotto in queste condizioni, il sig. Fischet non può essere di aiuto a Coco e a Rita. I detectives lo salutano e, a bordo dell’auto di lui, decidono di parlare con i fratelli dell’atleta. Stanno recuperando i loro contatti quando ricevono una telefonata che comunica che anche Stevenson è morto! E’ chiaro che è vittima degli stessi assassini di Fischet che evidentemente hanno voluto vendicarsi della sua amicizia con il primatista e del fatto che ha aiutato le forze dell’ordine nel fornire indizi utili all’indagine.
E’ indispensabile convocare i fratelli di Fischet: i quattro vengono convocati in Centrale.
Coco inizia subito un interrogatorio serrato: – Dove vi trovavate al momento della scomparsa di vostro fratello Armando? –
– Ero dall’estetista- dice Genoveffa.
– Io e Calogero eravamo da mio padre a guardare la gara- risponde Leopoldo.
– Io ero a mangiare con alcune mie amiche tedesche al ristorante “Pummarò” – conclude Gilda.
– Mi potreste mostrare le mani? – domanda Mr. Coco.
Il detective li osserva tutti con attenzione, poi guarda miss Clarson e sorride sornione:
– E’ molto strano, signorina Genoveffa, che Lei sia andata dall’estetista e non si sia dedicata anche alle sue mani che infatti, perdoni la mia poca educazione, appaiono molto trascurate -.
– Non ho avuto tempo. Prenderò un altro appuntamento -.
– Va bene, verificheremo se sia andata realmente lì ieri. Come mi spiegate però che vostro padre dice di non vedervi da mesi? E come può essere stata Lei al ristorante “Pummarò”? E’ chiuso da tempo, lo so bene perché era uno dei miei preferiti -.
– Sei la solita stupida, Gilda! Non ci si può mai fidare di te!- inveisce Leopoldo, scagliandosi verso la sorella.
– Calma, ormai è chiaro che voi c’entrate con l’omicidio di vostro fratello. Confessate una volta per tutte -.
– Va bene, è inutile continuare a mentire – si arrende Genoveffa – Le cose stanno così: i rapporti con Armando si sono guastati negli ultimi anni, da quando è morta nostra madre. Lui era presissimo dalla sua carriera e noi gli rimproveravamo di non occuparsi di nostro padre che, nel frattempo, era diventato alcolizzato. Non riuscivamo più a gestirlo e volevamo farlo ricoverare in una casa di riposo a Pescara ma non ci bastavano i soldi. Li abbiamo chiesti a lui ma non ha voluto darceli. La sua idea era quella di far curare il papà portandolo in un centro di recupero per alcolisti, era contrario all’idea del suo ricovero e di una collocazione così lontana. Abbiamo litigato furiosamente, lui ha minacciato di denunciarci. A quel punto abbiamo deciso di agire. Il giorno della gara siamo andati allo stadio e ci siamo fatti trovare nello spogliatoio. Gli abbiamo offerto una bevanda energizzante per recuperare i sali perduti durante la corsa ma alla bibita abbiamo aggiunto del curry sottratto nelle cucine, sostanza cui nostro fratello era allergico. Si è sentito male e così, quasi svenuto, è stato facile per noi quattro trasportarlo sul tetto dove volevamo minacciarlo un po’. Non intendevamo ucciderlo ma lui ha cominciato a urlare e a divincolarsi. Calogero ha perso la testa e lo ha colpito duramente. A quel punto siamo andati nel panico e siamo scappati portando via la medaglia che gli avevamo sottratto prima e con cui intendevamo ricattarlo. Leopoldo intanto si è intrufolato ancora nello spogliatoio per lasciare un bigliettino scritto in tedesco da Gilda, che ha vissuto qualche anno in Germania, per depistare la Polizia e confondere le indagini. E’ stato lì che Stevenson lo ha visto. Non potevamo lasciarlo vivo – .
– Immaginavo che foste stati voi. A casa di vostro padre c’è una bella foto di voi cinque con la didascalia “I magnifici Fischet”. Ora un bel po’ di anni di carcere non ve li leva nessuno -.
Coco chiama gli agenti e fa portare via i colpevoli.
Poi, soddisfatto di sé, si rivolge a Miss Clarson: – E anche questo caso è risolto. Non mi piacciono gli aperitivi, Rita, lo sai, ma amo la buona cucina. Pummarò è chiuso ma ho scoperto vicino a casa un posticino che non mi sembra niente male. A che ora ti passo a prendere? –
Tutto per un francobollo
di Leonardo Brambilla Fasano, Mirna Ceccarelli, Lavinia Di Nunzio, Dalia Tomassoni, Marco Torcellan
Parte I
1924
Era stato un viaggio turbolento, Erminho Rocha aveva dovuto fare un lungo viaggio da Roma a Brest con un cambio di treno per prendere una nave che lo aveva portato al castello di Caernarfon, nel nord del Galles dove doveva partecipare a un ricevimento. Era stato un viaggio terribile perché Erminho soffriva di mal di mare.
A Brest aveva incontrato Adrien Bernard, un collezionista francese invitato al suo stesso ricevimento: Adrien era un gran chiacchierone e per tutta la durata del viaggio lo aveva stremato continuando a parlare senza interruzioni.
Finalmente stavano per entrare nel castello, pioveva a dirotto.
Mentre Adrien continuava a parlare, Erminho osservava il castello e gli invitati: c’era una signora con molti gioielli addosso, un arabo che portava un turbante bianco panna e un uomo che stava buttando delle scarpe che sembravano nuove. Subito dopo arrivò ad accoglierlo il proprietario, Rhys Said, un suo vecchio amico, che gli presentò alcuni degli invitati. Per prima gli presentò Jessica Buolle, la signora che aveva visto prima, piena di gioielli e ricca collezionista d’arte. L’uomo con il turbante era Aadil Moustafà, un numismatico degli Emirati arabi.
Finalmente conobbe Cory Grant, amico universitario di Said.
“Oggi è stata una giornata orribile, qui piove sempre rispetto all’Australia” disse Cory.
“Io ho dovuto affrontare un lungo viaggio partendo da Roma” rispose Erminho.
“Io invece sono arrivato un po’ di giorni fa e oggi sono andato in spiaggia e sono inciampato cadendo in acqua”, disse Cory.
Erminho scoppiò a ridere.
“Non c’è niente da ridere, l’acqua era gelata e ho anche dovuto buttare delle scarpe nuove” rispose Cory seccato.
Erminho, intanto, si guardava attorno e osservava il castello: c’erano otto torri ottagonali, con altre torri più piccole sopra. Era fatto di pietra, il proprietario gli spiegò che era stato costruito nel ‘300 e inizialmente era una fortezza militare.
Alle 19.30, dopo aver lasciato i bagagli nel suo alloggio, Erminho andò a cena.
Si sedette vicino ad Alfred Mink, un filosofo norvegese con una folta barba grigia, vestito con un completo grigio e una cravatta nera.
Erminho gli rivolse la parola.
“Buonasera”.
Mink si voltò di scatto e lo guardò con aria irritata.
“Lei deve essere il famoso filosofo norvegese”.
Alfred annuì.
“Quando è arrivato al castello?”
“Ieri” borbottò il filosofo.
“Che saporaccio!” disse intanto, rompendo il silenzio, Belena Fionza, un’artista argentina che era seduta alla sinistra di Erminho.
“Qual è il problema?” chiese lui.
“Questo cibo è terribile, in Argentina mangiamo molto meglio!”, rispose Belena.
“Mi dispiace che il cibo non sia di suo gradimento, ma ho il timore che resteremo qui per un po’ e dovrà abituarsi.”
“Mah… speriamo non troppo!”
“Comunque, piacere, Erminho, Erminho Rocha”,
“Piacere mio, Belena Fionza”.
Intanto Said stava parlando con Eamon de Valera, un suo amico stretto nonché un attore di successo irlandese. Said non lo aveva riconosciuto subito, era diventato più grasso e anziano, ma una cosa non era mai cambiata, aveva sempre con sé l’orologio da taschino d’oro da cui non si separava mai.
“Da quanto tempo! Saranno vent’anni che non ci vediamo!” iniziò Said.
“Già, ti trovo in grande forma! Hai organizzato davvero uno splendido evento!” disse Eamon.
“E il bello non è ancora arrivato: stasera metterò in mostra il mio francobollo più raro: si chiama One Cent Black Magenta”.
Eamon lo guardò stupito. “Che strano! Said che mette in mostra il francobollo di cui è più geloso…” pensò tra sé e sé.
“Non hai paura di un furto?” si intromise Cory Grant, che stava origliando la conversazione da qualche minuto.
Said ci rifletté un attimo, ma la sua decisione rimase immutata.
“Ormai la decisione è presa, non accadrà nulla, è tutto sotto controllo.”
“Se lo dici tu…”
Mentre nella sala tutti stavano parlando, arrivò di corsa Matilde Eron, una famosa dottoressa svizzera, nipote di Semmelweis, un importante medico ungherese.
“Scusate, sono partita in ritardo a causa di un intervento chirurgico che dovevo portare a termine”.
Rhys Said disse: “Stavo per fare un annuncio: domani metterò in mostra il mio famoso francobollo One Cent Black Magenta.”
Parte II
Era mattina e la sala di esposizione era appena stata aperta.
Erminho si recò subito lì e, mentre scendeva le scale, incontrò una donna che sembrava spaesata, aveva capelli scuri, un kimono di seta rosa e gli occhi a mandorla.
“Buongiorno, signorina, La vedo un po’ smarrita, serve una mano?”chiese Erminho.
“Sì, mi può indicare dove si trova il famoso francobollo? Ah, mi sono scordata di presentarmi: Komaki SatŌ, piacere di conoscerLa”.
“Che coincidenza! Mi stavo dirigendo proprio là, piacere, io sono Erminho Rocha”.
I due si diressero verso la sala, dove trovarono due persone. Stavano osservando il francobollo nella teca di vetro, bisbigliando tra di loro. Il primo aveva un aspetto anziano, l’uomo aveva dei capelli grigi e ben pettinati, portava degli occhiali rotondi con una montatura sottile. La seconda era una donna sulla cinquantina, aveva capelli castani mossi lunghi fino alla vita e una pelle olivastra.
Komaki SatŌ presentò Erminho al signore anziano: si chiamava Livio Monchi, uno stilista italiano di fama mondiale, che a sua volta presentò sua moglie, Florence Mine, cantante americana che aveva avuto successo quando era giovane.
Andarono assieme a fare colazione. Appena entrati nella sala, Erminho vide Adrien e cercò di non farsi vedere da lui, ma Adrien lo aveva già riconosciuto e invitato assieme agli altri a fare colazione in compagnia. Erminho non aveva nessuna voglia di ritrovarsi nella stessa situazione del viaggio di arrivo a parlare solo dei nuovi francobolli che Adrien aveva aggiunto alla sua vastissima collezione.
Dopo una lunga chiacchierata durata circa un’ora e mezza, Erminio era stravolto, aveva solo voglia di ritornare nella sua camera a rilassarsi, ma Adrien lo trascinò di nuovo nella stanza del francobollo con la scusa che non lo aveva ancora visto.
Arrivarono nella stanza piena di gente e radunata in cerchio attorno alla teca. Erminho non capiva cosa stesse succedendo, ma non riusciva a vedere niente, si infilò in mezzo alla folla e arrivò alla teca vuota.
Nella stanza c’erano tutti quelli che Erminho aveva conosciuto, a parte Cory Grant.
In un angolo c’era Rhys, che, disperato, stava telefonando alla polizia per raccontare l’accaduto.
“‘La polizia arriverà a momenti, mi dispiace per chi non aveva ancora visto il francobollo, ma ora è scomparso!”
Tutti rimasero sconvolti, dove poteva essere finito? Era stato certamente rubato, ma da chi?
L’unico modo per scoprirlo era fare delle indagini.
“Non vi allarmate, abbiamo la fortuna di avere tra di noi uno degli investigatori più bravi al mondo: Erminho Rocha.”
Parte III
Erminho stava ripensando alla sera prima del furto, quando Rhys gli aveva fatto vedere il francobollo, portandolo nel suo studio dove si trovava prima di essere esposto.
Lui era rimasto sconvolto dal disordine che c’era, documenti ovunque, accumuli di polvere che nascondevano una macchia scura sul tappeto bianco e un camino che disperdeva calore appena entravi nella stanza.
Rhys si era avvicinato al lato del camino e aveva aperto un piccolo scomparto estraendone il francobollo.
“Non avrei mai immaginato che lì ci fosse uno scomparto segreto!” aveva esclamato Erminho.
Erminho fu distolto da questo ricordo quando si accorse che tutti lo stavano guardando aspettando una sua risposta.
Era in imbarazzo, ma per fortuna arrivò la polizia che iniziò a isolare l’area e a fare uscire le persone dalla sala.
Arrivava la parte preferita di Erminho: gli interrogatori.
“Il francobollo deve essere stato rubato tra le 8:30 e le 9:30, questo perché io e Komaki Satō, Livio Monchi e Florence Mine siamo usciti dalla sala d’esposizione verso le 8:30 e siamo andati a fare colazione insieme ad Adrien Bernard; siamo tornati qui verso le 9:30, quando il francobollo era già stato rubato”.
Il primo interrogato fu Cory Grant: nella stanza in cui si tenevano gli interrogatori c’erano la polizia, Erminho e Rhys Said.
“Buongiorno, si sieda”, incominciò l’ispettore Monroe.
“Dov’era tra le 8:30 e le 9:30?”
Cory Grant si sedette e iniziò a parlare: “Questa notte ho dormito male, mi sono svegliato alle 8:30 e mi sono preparato per andare nella sala d’esposizione, sono andato a vedere il francobollo verso le 9:00 e poi sono uscito a fare una passeggiata e sono tornato adesso, infatti non ho ancora fatto colazione”.
“Ha incontrato qualcuno?” domandò Erminho.
“Sì, ho incontrato Rhys sulle scale, mi ha detto che doveva andare a lavorare nel suo studio”.
“Sì, è vero quello che sta dicendo, l’ho visto entrare nella sala verso le 9:00” intervenne Rhys.
Cory uscì dalla stanza e la polizia iniziò a consultarsi con Erminho per scegliere chi interrogare.
“Ora abbiamo quasi la certezza che il furto sia avvenuto tra le 9:00 e le 9:30, perché Grant ha visto il francobollo alle 9:00” disse Erminho.
“A meno che non lo abbia rubato lui” rispose Monroe.
“Non c’è bisogno che interroghiamo Adrien Bernard perché è stato con Lei tutto il tempo, giusto?” continuò l’ispettore.
“Sì, è stato con me tutto il tempo, si è solo assentato una decina di minuti per andare in bagno, non mi ricordo bene che ore fossero”.
“Lo interrogheremo per ultimo allora” concluse la polizia prima che entrasse il secondo interrogato, Aadil Moustafà.
La polizia fece sedere anche lui e gli fece la stessa domanda.
“Mi sono svegliato circa alle 8:45 e sono andato a fare direttamente colazione alle 9:00, ci sono rimasto fino ad ora, contando di andare a vedere il francobollo dopo” rispose Aadil.
“Bene, può uscire” concluse la polizia.
“Non mi sembra un sospettato valido, perché è sempre stato in compagnia, ci resta solo da confermare la sua versione” disse Erminho.
Entrò poi una donna: Jessica Buolle.
La sua versione corrispondeva a quella di Aadil Moustafà, aveva fatto colazione con lui dalle 9 alle 9:30 e quindi erano definitivamente sottratti alla lista dei sospettati.
Era il turno di Eamon de Valera, entrò nella stanza con una faccia sconvolta per quello che era accaduto.
“Sono arrivato al castello due giorni fa, sono stato uno dei primi a sapere dell’esposizione del francobollo, me lo aveva detto Rhys la sera prima” iniziò Eamon.
Rhys annuì.
“Stamattina mi sono svegliato alle 8:00 e sono rimasto in camera fino ad ora a leggere un libro”.
“Quindi aveva intenzione di vedere il francobollo dopo?” chiese Monroe.
“In realtà non ci avevo ancora pensato…”
Eamon uscì dalla stanza ed entrarono subito Livio Monchi insieme a sua moglie Florence Mine.
“Come può confermare Erminho, noi siamo andati a vedere il francobollo verso le 8:30 quando siamo stati raggiunti da Erminho e Komaki SatŌ per poi andare a fare colazione tutti insieme”.
La polizia fece entrare Komaki SatŌ che confermò ciò che era stato detto.
Uno degli ultimi interrogati fu Matilde Eron.
“Buongiorno, non fate caso al mio aspetto, mi sono svegliata verso le 9:20 per via del lungo viaggio che ho affrontato ieri, ho sentito la polizia arrivare al piano di sotto e sono scesa a controllare cosa stesse succedendo”.
Sembrava tutto combaciare, quindi anche lei uscì dalla stanza.
Entrarono assieme Belena Fionza e Alfred Mink.
Alfred Mink si era svegliato verso le 7:00 ed era andato a fare colazione fino alle 7:30, poi era rimasto a guardare il francobollo fino alle 8:00 e infine era andato a fare una passeggiata di un’ora e mezza. Anche Belena Fionza era andata a fare una passeggiata e aveva incontrato Alfred verso le 9:00.
Mancava solo Adrien Bernard.
“Erminho ci ha detto che Lei è stato in sua compagnia tutto il tempo, si è solo allontanato per andare in bagno, ce lo può confermare?” chiese la polizia.
“Sì, sono andato in bagno verso le 9:10” rispose Adrien.
“Ha visto qualcuno in particolare?” chiese Erminho.
“Adesso che ci penso mi sembra di aver visto Rhys entrare nella stanza di esposizione”.
Rhys non disse nulla.
Gli interrogatori erano finiti, l’ispettore aveva escluso dai sospettati Aadil Moustafà, Jessica Boulle, Livio Monchi, Komaki SatŌ, Belena Fionza, Alfred Mink, Florence Mine e Matilde Eron.
Rimanevano Cory Grant, che era stato l’ultima persona a vedere il francobollo prima che venisse rubato, Eamon de Valera, che sosteneva di essere rimasto tutto il tempo nella sua camera ma che non aveva testimoni e quindi poteva essere andato nella sala e aver rubato il francobollo senza farsi vedere e Adrian Bernard, che si era assentato dieci minuti per andare in bagno: e, anche se dieci minuti erano pochi, era possibile rubare il francobollo in così poco tempo poiché non c’era nessuna sorveglianza.
Durante il pranzo Rhys disse che quel pomeriggio si sarebbe assentato qualche ora.
Al pomeriggio la polizia chiese di poter perquisire le stanze degli invitati, che accettarono con riluttanza. Erminho stava passeggiando nel giardino del castello, percorrendo la distanza tra la torre in cui alloggiavano gli ospiti e quella in cui si trovava l’ufficio di Rhys, era più o meno a metà quando incontrò Cory Grant.
“Questo giardino è molto bello e oggi è una splendida giornata, a differenza dell’altro ieri” iniziò Erminho.
“Già, si ricorda quando raccontavo di essere inciampato in spiaggia e di essere caduto in acqua? Al ritorno sono passato per il giardino infangandomi le scarpe” rispose Cory,
“Si ricorda di aver incontrato qualcuno mentre tornava al castello?”
“Si, ho incontrato Eamon de Valera proprio nel punto in cui ci troviamo adesso”.