I ”gialli” delle seconde

Tutti i giorni fino a sabato due nuovi romanzi. Oggi “Furto a Firenze” e “Un delitto delizioso”

“Durante l’anno appena trascorso gli alunni delle due classi seconde della Secondaria di primo grado si sono cimentati nella scrittura di gialli. Li pubblichiamo ora: questi racconti sono il nostro modo per augurarvi una buona estate”

Furto a Firenze

Di: Andrea Righetti, Bianca Marasco, Caterina Quarantotto, Dorian Ude, Olivia Davico Bonino

IL MISTERO

Eelin sbuffò. Il suo orologio da polso aveva le lancette puntate sulle 15.03. Questo significava che era a malapena a metà del suo lungo viaggio, che doveva finire a Firenze, la città dei ricchi parenti di Peter. Aveva passato l’intera giornata a fantasticare sulle grandi stanze della villa di questi: ci sarebbero stati grandi quadri d’epoca? Per non parlare poi dell’enorme biblioteca ricca di prime stampe… I suoi pensieri furono interrotti dalle voci sconosciute di due uomini che all’apparenza erano molto arrabbiati. La lingua che parlavano per Eelin era sconosciuta, ma le ricordava quella che Peter aveva cercato di insegnarle tempo prima… Sì, ora che ascoltava meglio, era quasi sicura che fosse italiano. Perché Peter in quel momento non c’era? Dove si era cacciato il suo migliore amico? Parli del diavolo… Ecco che Peter sbucò dalla cabina del treno con la sua solita camminata tranquilla. Eelin, in un batter d’occhio, chiese a Peter di origliare e di tradurre per lei. Anche se di malavoglia, una volta ascoltata la chiacchierata e una volta che i due strani tipi si furono allontanati, la sua espressione cambiò: sul suo volto ora si leggeva una visibile preoccupazione.                                                                      

  -Cosa si sono detti? – chiese Eelin.                                                                                

 -Hanno nominato un “incunabolo”. Non ho idea di cosa sia. Si davano a vicenda la colpa della sua scomparsa, tipo come se l’avessero rubato… Proprio a Firenze. Oh, no, non fare quell’espressione! Ti conosco troppo bene, scordati di indagare su questo “incunabolo”! Stiamo andando a Firenze solo per fare una visita alla mia famiglia, niente casi, niente indagini, niente di niente!-                                             

Troppo tardi, il cervello di Eelin era già partito in quarta. Quella che si prospettava solo una gita in Italia era appena diventata l’occasione per farsi conoscere anche in questo Paese come la grande investigatrice “Eelin la Rossa”. Anche gli altri due membri della comitiva, Austin e Sakura, sembravano dalla sua parte. Peter fece un ultimo tentativo:

 -E poi non è detto che l’“incunabolo” si trovi ancora a Firenze… magari lo hanno nascosto in una grotta sperduta in Russia…-.                                                                                                           

-Sì, ma comunque le indagini devono partire da Firenze. – obiettò Sakura.

Eelin aggiunse: – E io andrei a cercare anche in una grotta sperduta dall’altra parte del mondo-.            

-Ho capito: come al solito avete ragione voi – sospirò Peter -Intanto, per quanto ne sappiamo, un incunabolo potrebbe essere un paio di scarpe, così come potrebbe essere una macchina da scrivere o un tipo di pane. Non sappiamo nemmeno cosa stiamo cercando!-                                                                                                                                                                            

-In realtà- si intromise Austin, che finora era stato in silenzio -io so cos’è un incunabolo. Si tratta di uno scritto a stampa molto antico, che risale al Cinquecento. Il suo valore è inestimabile -.                                                                                                                                                      

-E il vecchio Austin colpisce ancora! – rise Peter -Non ho mai trovato un termine che tu non conosca!-               

-Quindi- Eelin tirò fuori il suo inseparabile taccuino -siamo a caccia di uno scritto del Cinquecento, che è stato rubato a Firenze? –                                                

-Esattamente. – confermò Sakura. -Tra le domande a cui serve una risposta puoi iniziare con: “Chi erano quei due tipi di prima?” –                                                                                   

I ragazzi iniziarono a fare ipotesi sul conto dei due uomini e il viaggio trascorse velocemente.

L’ARRIVO

“Herran jestas!” furono le prime parole che vennero in mente a Eelin appena vide la villa della famiglia di Peter. In finlandese significavano “Oh mio Dio!”.

La residenza dei D’Ambra era una costruzione di quattro piani, nel centro storico della città. Enormi portefinestre si affacciavano su terrazze che davano sulla città. Tra le siepi ben curate del giardino si intravedevano alcune statue, che raffiguravano soggetti mitologici. Ad accoglierli, sull’imponente scalinata d’ingresso, c’era una donna sulla cinquantina, che Eelin pensò essere la domestica.

-Buongiorno, signorino Peter. Sua madre attende Lei e i suoi amici in salotto-.

La domestica li accompagnò attraverso stanze enormi, che fecero rimanere i tre ospiti di Peter a bocca aperta, fino a giungere in una sala ampiamente decorata da affreschi quattrocenteschi. Il soffitto era anch’esso affrescato e raffigurava un cielo con dei cherubini danzanti. Su un divano di velluto blu sedeva una donna, che assomigliava molto a Peter: aveva riccioli neri, che sfuggivano ai fermagli in modo che sembrava essere fatto apposta e che mettevano in risalto la pelle chiara sulla quale spiccavano due occhi azzurro mare. Doveva avere tra i quarantatré e i quarantasette anni, ma sembrava molto più giovane. La sua espressione era un misto tra il preoccupato e il sollevato.

-Peter! – esclamò, alzandosi in piedi -Siete arrivati, finalmente! Voi state tutti bene? –

-Certo, il viaggio è andato bene… Come al solito. Cosa non dovrebbe andare bene? È successo qualcosa? –

-Lo zio Ludovico… è sparito da quasi una settimana, nessuno sa che fine abbia fatto. Ho provato a telefonare al suo ufficio diverse volte, ma non ha risposto. Sono rimasta con la cornetta in mano per tanto tempo. Oh, ero così preoccupata che potesse esserti successo qualcosa… Ma per fortuna tu e i tuoi amici siete in salvo-.

-Mamma, è tutto terribile, ma chi intendi per “zio Ludovico”? Il fratello di papà, suo cugino, quello che vive in Germania, o…-

-Il prozio Ludovico Giovanni Filippo D’Ambra, il proprietario della biblioteca più importante di Firenze! Non puoi esserti dimenticato di lui…-

-Chi, io? Ma no…Ora però posso far vedere a Eelin, Austin e Sakura le loro camere? Immagino siano stanchi dopo un viaggio così lungo… Vero, ragazzi? –

I tre annuirono in modo poco convinto. La madre di Peter acconsentì e li salutò:

-Ci vediamo a cena, ragazzi, alle otto meno un quarto-.

Peter accompagnò gli amici per una scalinata che conduceva al piano superiore, dove, spiegò, c’erano tutte le camere da letto della grande famiglia D’Ambra. Le loro erano adiacenti e tutte collegate tra di loro con delle porte interne. A Eelin spettava quella in mezzo alla stanza di Peter e a quella di Sakura. Una giovane cameriera la aiutò a disfare i bagagli, dopodiché la lasciò sola con le sue riflessioni.

“Quindi il prozio di Peter è scomparso. Chissà che la sua scomparsa c’entri qualcosa con l’incunabolo… In effetti lui era il proprietario della biblioteca, forse quegli uomini del treno erano arrabbiati con lui per esserselo lasciato sfuggire… E di conseguenza l’avrebbero fatto sparire dalla circolazione? Ma no, che senso logico avrebbe? Eppure, sento che il prozio di Peter c’entra in questa faccenda.”

La ragazza segnò sul suo taccuino il nome del prozio, seguito da un “forse?”

Qualcuno bussò alla porta della stanza. Il suo orologino segnava le 17.40, era troppo presto per la cena. La testa ricciuta di Peter spuntò dalla porta.

-Ancora assorta nei pensieri sull’incunabolo?-

Eelin annuì. Lui le disse: -E pensare che è appena il primo giorno della tua permanenza qui… Ho paura di ciò che penserai alla fine della vacanza. Comunque Austin e Sakura sono crollati dal sonno. Volevo farvi vedere la biblioteca, ma…-

-Avete una biblioteca? – chiese Eelin, rendendosi conto della stupidità della sua domanda mentre la faceva. L’incunabolo era finito nell’angolino più remoto della sua mente. Peter rise.

-Certo. Dato che Austin e Sakura sono immersi nel mondo dei sogni, puoi avere la visita esclusiva!-

Eelin sorrise e raggiunse l’amico. Scesero verso il piano terra fino a una porta in legno accuratamente intagliata. Peter usò una chiavetta minuscola per aprirla e davanti ai due ragazzi si spalancò un mondo. Enormi e imponenti scaffali ripieni di libri antichi e nuovi, senza un briciolo di polvere. Eelin spalancò la bocca per la terza volta in quel giorno e si lasciò guidare dall’amico attraverso quel regno parallelo e silenzioso. Camminava in una specie di trance e si guardava attorno meravigliata finché non vide qualcosa che le fece ghiacciare il sangue nelle vene.

ABBIAMO TROVATO LO ZIO LUDOVICO

-AAAAAAH! – Urlò Eelin

Peter si voltò di scatto e si portò una mano alla bocca. Un uomo, che non sembrava molto giovane, giaceva per terra, con la pancia verso il basso, in una pozza di sangue. Nella sua mano destra, c’era un coltello con la lama macchiata.

-Eelin…-

-Sì, Peter?-

-Credo… credo che noi abbiamo appena trovato lo zio Ludovico-.

-Che facciamo? Andiamo ad avvisare qualcuno? Chi c’è qua in giro?-

Alla porta si affacciò un ragazzo più grande, probabilmente un cugino di Peter.

-Scusate, è successo qualcosa? Ho sentito un urlo… Peter, perché sei così pallido?

-Lo zio Ludovico… morto…c’è tanto sangue- .

Con la mano tremante, indicò il punto in cui si trovava il cadavere.

-Intendi… quello Zio Ludovico, quello che è scomparso?-

Peter annuì. Eelin notò che aveva iniziato a sudare. L’altro ragazzo si avvicinò a loro e vide l’uomo per terra. La sua espressione era contemporaneamente corrucciata e triste.

-Come… è possibile? Ieri sera qui era tutto a posto… Ho chiuso a chiave io la porta, come ha fatto a… a essere qui oggi? Povero zio…-

La notizia si sparse velocemente in Villa D’Ambra, e, in meno di tre ore, tutti sapevano già dello zio trovato morto in biblioteca. Austin e Sakura fecero le loro condoglianze a Peter e chiesero a lui e a Eelin cosa fosse successo e come avessero trovato il cadavere. Dopo che ebbero saputo tutto, erano entrambi piuttosto stupiti. Sakura chiese: -Credete che il prozio… c’entri qualcosa con l’incunabolo rubato?-

-Me l’ero chiesto anch’io e ora sono ancora più convinta che anche lo zio di Peter abbia avuto un ruolo in questa faccenda. –  rispose Eelin. Peter sgranò gli occhi.

-Non intenderai che l’ha rubato lui?-

-Non credo sia stato lui. Altrimenti come spiegheresti la sua morte?-

Peter annuì.

-Mio cugino Luigi, che è venuto in biblioteca sentendo l’urlo di Eelin, è medico. Dice che potrebbe trattarsi di un suicidio-.

Eelin scosse la testa. -Questo è impossibile secondo ogni punto di vista.

-Ma se l’ha ipotizzato un medico…- disse Austin.

-Ha ragione Eelin- obbiettò Sakura convinta -Ad esempio il defunto stringeva il pugnale con la destra, eppure l’orologio che aveva al polso, differentemente da come fanno le altre persone, non era a quello sinistro, ma a quello destro. Tuo zio era mancino, Peter?-

-Io… credo di sì. Come hai…?-

-Era solo una supposizione, che tu hai confermato. –

-Inoltre, la posizione in cui si trovava il cadavere era innaturale. Avete mai sentito di un suicida girato con la pancia in giù? Ci sono almeno altre tre supposizioni: 1) vi sembra normale che un uomo, dopo essere sparito per una settimana, torni in gran segreto, entri in biblioteca e si pugnali a morte? Insomma, dai… 2) un suicida, prima di uccidersi, nella maggior parte dei casi, scrive una lettera, nessuno ne ha trovate nelle tasche del morto, né nei dintorni del luogo in cui è stato trovato.  3) più importante di tutti: il sangue, ragazzi… -aggiunse Eelin.

-Il sangue? – domandò Sakura.

-Già, e non ci sono arrivata da sola. Peter mi ha aiutata-.

-Io?-

-Già. Avevo notato qualcosa di strano, ma non riuscivo a capire cosa. Quando è arrivato Luigi, tu hai detto “tanto sangue”. Capito? Ecco cosa non quadrava. Provate a ricostruire la scena. La vittima entra in biblioteca, durante la notte, si pugnala e si gira verso il basso… Il sangue era letteralmente dappertutto in quel momento, ma non è logicamente possibile… Immagino che l’assassino abbia utilizzato quello di un animale, che ha lo stesso effetto che avrebbe fatto quello di un umano. A parte il fatto che era troppo -.

-Vero…- annuì Austin.

-Dobbiamo parlarne con qualcuno? – chiese Sakura.

-Meglio riferirlo alla polizia, domani. Luigi ha detto che hanno denunciato l’assassinio non molto fa. Gli agenti vengono domani. – rispose Peter.

-Bene… Domani, mentre la polizia cercherà di scoprire chi ha ucciso tuo zio, noi possiamo provare a cercare indizi sull’incunabolo tra le sue carte-.

I MESSAGGI

-Trovato! – esclamarono contemporaneamente Sakura e Peter.

-Un telegramma inviato a mio zio dalla società Spectri S.P.A. in cui c’è scritto “Libro in Paradiso XVI, 145-147” – spiegò Peter.

-Paradiso XVI, 145-147? Cosa vorrà dire? – domandò Austin.

-Non ne ho idea… Magari però “libro” sta per incunabolo. Sakura, tu cos’hai trovato? – chiese Eelin all’amica.

-Una lettera di Ludovico. Guardate qua. –

Porse il foglio agli altri ragazzi. Eelin lo lesse con attenzione:

Ccari, non ho molto tempo. Mi faaranno fuori entro la finne del mese. Sono finitto. Mi auguro con tutto iil cuore che li troverannno e che daranno loro la giusta punizione. Non ho molto tempo. È la fine. Aaddio.

L.G.F. D’Ambra

-Ehm, cosa c’è di particolare? – chiese Peter.

-Non te ne accorgi? È un messaggio in codice! Guarda! Non ti sembra strano che, per uno studioso dell’italiano come il tuo prozio, ci siano troppe lettere ripetute? Prova a prendere in considerazione solo le lettere raddoppiate in eccesso: rimane una parola, C A N T I N A. Significa qualcosa in italiano? –

Peter tradusse per loro e i ragazzi furono d’accordo sul fatto che poteva esserci qualche indizio per loro proprio nello scantinato di Villa D’Ambra.

-Grande Sakura! – Esclamò Eelin. -Possiamo andare in cantina, Peter?-

-Certamente. Vi faccio strada-.

I ragazzi entrarono nella cantina più buia che Eelin avesse mai visto.

-La luce è fulminata- spiegò Peter -Dobbiamo accontentarci di alcune candele.-

Alla tenue luce delle candele, i quattro amici rovistarono in ogni scatola e angolo della cantina, finché Austin non trovò una minuscola chiave all’interno di una piccola botte vuota, la quale era marchiata con il simbolo che i ragazzi avevano trovato sul telegramma.

-Credete che apra qualcosa di importante? – domandò Austin.

-Chi lo sa…- rispose Eelin sovrappensiero. -Magari qualcosa che c’entra con il “Paradiso XVI, 145-147” … Ma certo, che sciocca sono stata! Firenze è la città di Dante Alighieri, il poeta italiano più famoso della storia! Probabilmente è una citazione… dal Canto XVI del Paradiso della Divina Commedia, la sua opera più famosa, che quasi sicuramente cita un luogo di Firenze-.

-Geniale! – esclamò Sakura.

-Ora però dobbiamo trovare il luogo indicato nel Canto XVI del Paradiso…- commentò Peter -Credo basti guardare in uno di quei grossi libroni che lo zio ha sulla scrivania. Lui era uno di quelli fissati con Dante Alighieri-.

I ragazzi tornarono di sopra, e, come Peter aveva previsto, trovarono il Paradiso di Dante Alighieri proprio sulla scrivania. Il XVI Canto, ai versi indicati nel telegramma, ovvero dal 145 al 147 diceva così:

Ma conveniesi a quella pietra scema

che guarda ‘l ponte, che Fiorenza fesse

vittima ne la sua pace postrema.

-Ehm, d’accordo… Cosa intende? – chiese Austin, dopo che Peter ebbe tradotto per loro dall’italiano -Firenze ha un sacco di ponti…-

-Ma Il Ponte per eccellenza è il Ponte Vecchio! – esclamò Peter. -Sono quasi sicuro che si tratti di quello.-

-Allora nel pomeriggio possiamo andare lì… Ma cosa può essere chiuso da una chiave su un ponte? – domandò Eelin.

-Ponte Vecchio è famoso anche per essere un ponte coperto, sul quale ci sono anche abitazioni. – spiegò l’amico.

-Allora forse una di quelle è proprio quella che contiene l’indizio che stiamo cercando e che potrebbe metterci sulle tracce dell’assassino dello zio di Peter nonché ladro dell’incunabolo! – ipotizzò Sakura.

-Beh, in realtà non sappiamo se sono collegati…- aggiunse Peter.

IL PARADISO

Dopo aver riferito alla polizia ciò che avevano ipotizzato (ovviamente omettendo le scoperte di quella mattina), i quattro amici partirono alla volta del Ponte Vecchio. Arrivati nei pressi del ponte, Austin notò una targa in marmo su un muro, che citava proprio i versi del Paradiso citati dal telegramma.

-Allora è sicuramente qui- concluse Eelin.

Gli edifici costruiti sul ponte erano un bel po’ e impiegarono una ventina di minuti per trovare quello che cercavano. La chiave trovata da Austin era quella che apriva la porta dell’abitazione e i ragazzi entrarono all’interno. Eelin si guardò attorno: la casa sembrava disabitata, ma, dopo un po’, lei e i suoi amici distinsero alcune voci che parlavano tra di loro.

-E così avete ammazzato il vecchio! – esclamò una.

Seguirono delle risate, poi qualcuno rispose: -Era l’unica scelta, ma l’abbiamo fatto passare per un suicidio. Almeno ora non potrà spifferare ai quattro venti il nostro tentativo del furto di quel dannatissimo incunabolo!-

-Così è vero, eh? L’avete rubato voi?-

La risposta fu un grugnito, poi gli uomini si misero a borbottare tra loro qualcosa che i ragazzi non riuscirono a sentire. Sakura inciampò su qualcosa, che provocò un rumore più forte del dovuto. Gli altri trasalirono e Peter si lasciò sfuggire un’imprecazione. Gli uomini sconosciuti entrarono nella stanza in cui si nascondevano Eelin e i suoi amici, con fare minaccioso. Ma prima ancora che potessero dire o fare qualcosa, la porta cadde con un tonfo e degli agenti di polizia entrarono in soccorso dei ragazzi.

-E così hanno arrestato gli assassini dello zio Ludovico?- chiese il cugino di Peter, ammirato. A rispondergli fu Peter: -Già, gli agenti ci avevano seguito dopo che gli avevamo riferito delle nostre ipotesi sul falso suicidio. Alla fine si sono complimentati per le nostre abilità deduttive e indagatrici. Ora sono ricercati anche i due che urlavano sul treno, probabilmente sono coinvolti anche loro-.

Quando i ragazzi furono soli, Peter esclamò, con un gran sorriso:

-E anche questa indagine è andata! Ora potete godervi Firenze da semplici turisti!-

-Io non vedo l’ora di visitare la Galleria degli Uffizi!- commentò Sakura, che sognava a occhi aperti. Austin disse che invece avrebbe preferito vedere la Basilica di Santa Croce.

-Tu, Eelin?- domandarono all’amica, che in quel momento era assorta nei suoi pensieri.

-Che? Ehm… credo di essermi persa un pezzo…-

-Che c’è? Non sei contenta che sia tutto finito? Non fare quella faccia, ora puoi goderti Firenze! Possiamo almeno provare a passare tranquillamente questa vacanza?-

-Sì, ma l’incunabolo, ci avete pensato? Non l’abbiamo ancora trovato.-

-E non sappiamo nemmeno dove possa trovarsi- aggiunse Austin.

Quando parlò, gli altri sobbalzarono. Austin sapeva essere così silenzioso quando voleva. Era un grande osservatore e Eelin apprezzava molto questa sua qualità.

IL TASSELLO MANCANTE

Il giorno seguente, i ragazzi si recarono nella Biblioteca Nazionale di Firenze, luogo del furto. I ragazzi si divisero per cercare indizi, come al solito. Era una tattica efficace, soprattutto grazie alle loro formidabili qualità. Eelin e Austin, grandi deduttori e osservatori, cercarono nella zona in cui era conservato l’incunabolo. Sakura, amante dei documenti e delle scartoffie, perlustrò gli archivi. Peter intervistò il custode, chiedendogli se avesse notato qualcosa di strano quella notte.

-Austin, puoi venire un secondo?- chiese Eelin. -Guarda, vicino ai vetri della teca rotta.-

-Cos’è?- chiese stupito Austin. -Io non vedo niente-

-Guarda più attentamente, le vedi quelle macchie strane sul tappeto?-

Austin si avvicinò, si chinò e le annusò. Dopo un paio di secondi squadrò Eelin, stupito.

-Profumo- disse guardando Eelin -Ed è per forza caduto sopra i vetri, vedi? Le gocce non sono cadute direttamente sul tappeto, non sono uniformi. Vedi in quel vetro a destra?- disse indicando un frammento -È lucido, c’è sopra altro profumo. Questo significa che la persona a cui sono cadute le gocce è per forza il ladro, o almeno un complice.-

La ladra o la complice.- Lo corresse all’istante l’amica. Hai mai sentito di un uomo con del profumo così? È molto particolare, fine ma allo stesso tempo forte e dolce. Sono sicura che appartenga ad una donna -.

Eelin si avvicinò ancora una volta e annusò i punti che aveva indicato Austin.

-Il profumo mi ricorda qualcosa, sono sicura di averlo già sentito da qualche parte.-

-Avverto gli altri?- chiese Austin.

-No, non ancora, fin quando non avremo le idee più chiare non ne parleremo con gli altri.-

In realtà Eelin aveva le idee abbastanza chiare ma era un’accusa molto grave. Fin quando non ne fosse stata completamente sicura, non avrebbe detto a nessuno dei suoi sospetti.

Peter disse che dal custode aveva scoperto che c’erano molte persone che avevano il libero accesso alla sala dell’incunabolo, il defunto zio Ludovico, sua madre, che lavorava per gli archivi (che si trovavano in quella stessa stanza), il personale delle pulizie e gran parte dei pezzi grossi di Firenze. Purtroppo l’uomo all’ingresso della biblioteca nel momento del furto non era sul posto di lavoro e non si sapeva chi fosse entrato. Le chiavi della Biblioteca Nazionale erano in possesso della maggior parte dei membri della famiglia D’Ambra e loro erano gli unici a poter entrare liberamente al suo interno.

-Quindi probabilmente il ladro deve averlo fatto in gran segreto, mentre né mia madre, né gli addetti alle pulizie, né il custode, l’uomo all’ingresso o qualsiasi altra persona erano presenti.- ne dedusse Peter.

Tornati a casa, i ragazzi erano esausti. La madre di Peter li accolse con i suoi modi sempre gentili. Si recarono nella sala da pranzo, un enorme salone con un tavolo non da meno. Al tavolo erano seduti pochi dei membri che abitavano nella villa della famiglia D’Ambra.

Eelin chiese dove fossero gli assenti e la sua espressione doveva essere più confusa di quanto avesse voluto perché la madre di Peter le rispose prontamente che erano andati in Francia per lavoro.

“Perfetto!” pensò Eelin che voleva raccogliere indizi o sospetti sul resto della nobile famiglia. Sakura le lanciò uno sguardo di intesa, doveva avere avuto il suo stesso pensiero. Magari avrebbe potuto chiedere informazioni sulle vendite e sui tipi di profumo più gettonati alla madre di Peter, anche se dubitava che sarebbe servito veramente. Decise che comunque valeva la pena di provare, perciò, dopo pranzo, le si avvicinò e le domandò ciò che voleva sapere.

La madre di Peter le raccontò una lunghissima storia che non diede un minimo indizio alla ragazza. Le raccontò solo di essere una grande amante dei profumi e che in particolare quello che indossava in quel momento era esclusivo e lei era l’unica in tutta la Toscana ad averne un campione.

Poi le chiese di un argomento che non era dei migliori per lei: dove vivessero i suoi genitori.

-Ehm, loro… Non ci sono più. Sono morti in un incidente tempo fa, quando ero piccola-.

-Oh, tesoro, mi dispiace tanto! Puoi trattarmi come se fossi una madre per te, durante la tua permanenza qui!- E la strinse in un inaspettato abbraccio. Eelin rimase sorpresa da quel gesto e non si scansò. Però, mentre la madre di Peter la abbracciava, sentì un brivido correrle lungo la schiena… Cosa c’era che la inquietava? Non ci arrivava e questo la mandava fuori di testa.

Quella sera Eelin non riusciva ad addormentarsi. La sua mente continuava a pensare alla strana sensazione che aveva provato quel pomeriggio, una sorta di inquietudine. Ripensò alla signora D’Ambra, fino a farsi scoppiare il cervello. E, dopo almeno un’ora di riflessioni, un’immagine, come un flash, le attraversò la testa.

Ora il puzzle era completo, ogni tassello al suo posto.

IL MISTERO È RISOLTO

-Eelin!- La ragazza alzò la testa. Si era arrampicata su uno degli alberi dei maestosi giardini di Villa D’Ambra, come faceva quando doveva riflettere. Era Peter e sembrava preoccupato -Va tutto bene?-

Lei scosse la testa. -È tutto un macello-.

-Che succede? Hai scoperto qualcosa di brutto? Tipo… il colpevole è Austin?-

Eelin sorrise –Non così grave, dai. Ma credo che tu debba saperlo-.

-Chi è stato? Mi metti curiosità così, non vale!- esclamò l’amico.

-Tua madre-.

CHE? Eelin, stai scherzando? Mi hai fatto prendere un colpo…-

-No, sul serio. Il suo profumo è lo stesso che io e Austin abbiamo sentito sui vetri rotti della teca in cui era conservato l’incunabolo…-

-Profumo? Di che stai parlando?- disse Peter, confuso.

-Abbiamo scelto di non dirvelo, perché non ero sicura dei miei sospetti. Ma dopo che hai detto che tua madre ha l’accesso alla sala in cui l’incunabolo era conservato e che aveva anche la chiave per entrare nella Biblioteca Nazionale, mi sono ancora più convinta che potesse essere stata lei. In più mi ha detto di essere l’unica in tutta la Toscana ad avere quel profumo, che ho sentito io stessa quando mi ha abbracciato ieri pomeriggio e che è anche molto costoso… Ed era l’unica in quel momento che poteva essere lì senza essere sospettata, dato che lavora nell’archivio. Chi altri potrebbe essere stato?- Eelin era sconsolata.

-Oh- Peter era sconvolto. -Perché lo ha fatto? Insomma, che motivo c’era?-

-Vorrei chiederglielo, ma non voglio sembrare scortese, dopo tutto quello che ha fatto per noi… Credo che sia la prima volta che sono riluttante a rivelare il colpevole. Non so che fare-.

-Magari posso provare a parlarle io. In fondo sono suo figlio, forse mi dirà perché l’ha fatto. E chissà, potrebbe essere un motivo valido.- rispose pallido Peter.

A Eelin sembrò che più che convincere lei, Peter stesse cercando di convincere se stesso, ma apprezzò la sua proposta. Almeno non era arrabbiato con lei perché aveva accusato sua madre di furto, o non lo dava a vedere. Insieme, mano nella mano, tornarono all’interno della villa per parlare con la madre di Peter.

Al sentire le parole del figlio, la signora D’Ambra sembrò sconcertata.

-Un momento… Staresti dicendo che io ho rubato l’incunabolo?

-Mamma- Peter sembrava imbarazzato –siamo giunti a questo punto con le indagini, e non troviamo via d’uscita… Sei stata veramente tu?-

-No, Peter, sai bene che non lo farei mai! Le tue sono accuse molto gravi!-

Eelin in quel momento pensò che la signora avesse convinto suo figlio, che se la sarebbe cavata, visto che era una donna forte e importante a Firenze. Peter, invece, sembrava avere un tono molto deciso, più di prima. Lo ammirava molto.

-Mamma, prima o poi lo scoprirà anche la polizia, è solo una questione di tempo. Non negare l’evidente!- Il tono di Peter fece crollare la donna.

-Sì, l’ho rubato io.- ammise lei e si mise a piangere -Ma non è come credete, io… non sono una complice di quegli uomini spregevoli, che per un misero manoscritto hanno ucciso il povero Ludovico- aggiunse.

Peter accompagnò sua madre nella poltrona in salotto, mentre Eelin chiamò Austin e Sakura, dovevano essere al completo per chiudere il caso.

Dopo un breve riassunto della situazione, bisognava concludere.

-È stato Ludovico a suggerirmi di prendere l’incunabolo prima di loro.- continuò la donna, con la voce incrinata per il pianto. -Sapeva che era solo questione di tempo prima che lo ammazzassero, conosceva troppo bene quelle persone e i loro affari. -Così, dopo la sua scomparsa, ho deciso di prendere l’incunabolo e di tenerlo al sicuro, affinché non lo rubassero. Questo è tutto. Dovete credermi, vi prego!- concluse lei, con gli occhi lucidi.

I quattro amici si guardarono, incerti sul da farsi. Così Eelin chiese:

-Dove si trova adesso l’incunabolo?-

-In un doppio fondo del cassetto della scrivania che c’è in ufficio. Se volete, vi accompagno anche ora-.

Così i cinque andarono di nuovo nella Biblioteca Nazionale di Firenze e la signora D’Ambra prese l’incunabolo. Corrispondeva alla descrizione che Austin ne aveva fatto sul treno, quando erano arrivati a Firenze.

-Credo che sia meglio consegnarlo alle forze dell’ordine e spiegare come sono andate le cose- decise la signora D’Ambra -Vado da sola, voi tornate pure a casa.-

-E anche questa è andata!- commentò Sakura, quando la madre di Peter fu uscita.

-Ora possiamo veramente goderci Firenze- annuì Peter.

-Oppure c’è qualcosa d’altro che dobbiamo andare a cercare?- scherzò Austin.

-In effetti, credo di aver sentito parlare del furto di un quadro di Raffaello agli Uffizi…- mormorò Eelin.

Al vedere le facce degli amici, esclamò: -Scherzo! Ci siete cascati, vero? Ora possiamo ufficialmente fare i turisti in questa meravigliosa città-.

FINE

“Un delitto delizioso”

di Adan Kassab, Francesca Ferroli, Guido Mangano, Viola Piazza, Chiara Zuccarini

Capitolo 1

Un crimine irrisolto

Baghdad, Iraq – 1994

“Driin Driin” suonò la sveglia: erano le sei in punto.

 Era un giorno speciale a casa Jhamaikal: Amina, la madre di famiglia, compiva 57 anni!

“Tanti auguri a me!!!” – esclamò Amina. La donna si vestì in un batter d’occhio e si diresse verso la cucina per preparare la torta.

Essendo una cuoca molto brava, decise di prepararne una a 10 strati con crema e scorzette d’arancia, la sua preferita. In meno di due ore la torta era pronta!

Emanava un profumo sublime e delizioso, dolce al punto giusto e invitante.

Esausta, dopo due ore di lavoro, Amina uscì a prendere una boccata d’aria in giardino.

Qualche minuto più tardi tornò in cucina e lasciò la porta del giardino aperta.

Non fece in tempo a finire di ammirare ancora una volta il suo capolavoro che un uomo la colse alle spalle e la portò via. Il corpo della donna e la torta non vennero mai più ritrovati.

La notizia finì sulle prime pagine di tutti i giornali. La polizia aprì un’indagine.

Capitolo 2

La clinica Aldericci

New York, Stati Uniti d’America – 2019

La clinica si trovava a Manhattan. Era un alto ed imponente ospedale che portava il nome della ricca proprietaria, Miranda Aldericci.

Miranda, che aveva ereditato la clinica dal padre, era di origini italiane, aveva 53 anni, era bassina e piuttosto in carne. Adorava fare shopping e, essendo molto benestante, non perdeva occasione per acquistare macchine da corsa, ville, yacht e vestiti lussuosi.

Miranda era sposata con il figlio di Amina, Abdul Jhamaikal che lavorava come chirurgo nella clinica.

La struttura, dopo più di cinquant’anni di attività, era in fallimento perché gli affari non andavano più bene come una volta. Le ricche famiglie, che prima si facevano curare lì, ora preferivano ospedali più all’avanguardia con tecnologie di ultima generazione.

Abdul era bravissimo nel suo lavoro e riusciva ad attirare molti clienti. Purtroppo, però, Abdul non era più gentile ed educato con Miranda come agli inizi del loro matrimonio.

Ora era sempre nervoso, era molto irascibile e la minacciava sempre più frequentemente. Non era più nemmeno onesto e agiva di nascosto per sottrarle il controllo della clinica.

Miranda, dal canto suo, lo tradiva con Jackson Italiana, un uomo di 51 anni dai capelli grigi e dagli occhi castani, alto circa 1.77 m. Jackson era molto riservato e anche un po’ misterioso. Era un maestro di arti marziali e medico sportivo. Aveva conosciuto Miranda grazie al fratello, Diego Italiana, un chirurgo plastico che lavorava presso la clinica Aldericci. Diego aveva 30 anni ed era davvero un bell’uomo: era biondo, aveva gli occhi azzurri, era muscoloso e aveva tante ammiratrici.

Capitolo 3

Una tragica decisione

In una mattina soleggiata di fine estate un uomo sulla cinquantina entrò in un bar di Manhattan. Prese posto in un tavolino appartato, sulla parte destra del locale.

Seduta a un tavolo vicino una coppia discuteva animatamente.

Involontariamente l’uomo si mise ad ascoltare quella conversazione.

“Io sono stanca. Lui continua a minacciarmi e finirò per perdere tutto. Non posso più restare a guardare, è il momento di agire!” – diceva la donna all’amante.

“Mmmh, sai che ormai ha molto potere, i clienti gli sono affezionati ed è impossibile riconquistare ciò di cui si è impossessato e che ormai gli appartiene! Ciononostante deve lasciarti in pace e io mi batterò affinché questo accada. È giusto che tu difenda con unghie e denti il tuo mondo!” – rispose lui furibondo.

“Temo di non riuscire a resistere oltre e ho proprio deciso di metterlo fuori gioco. E se lo uccidessimo? Oddio non riesco a credere di averlo detto…!” – concluse la donna.

La conversazione dei due proseguì e l’uomo, spaventato da quanto aveva ascoltato, uscì velocemente dal locale.

Capitolo 4

Una sparizione programmata


La festa iniziò: la sala spaziosa era decorata con tappeti persiani e tavoli elegantemente apparecchiati di un bianco candido. Gli invitati erano arrivati.

Al centro della sala, posta su un elegante carrello d’argento, l’enorme torta alla crema di cocco con scaglie di cioccolato e frutti di bosco a tanti strati era molto invogliante. Erano già arrivati tanti ospiti che, via via, lasciavano costosi regali sul tavolo di marmo bianco posizionato vicino alla torta. Fra i presenti alla festa di Abdul, vi erano anche amici, familiari – tra cui il fratello Samir -, i colleghi della clinica, Miranda e Jackson, che conversavano amabilmente.

Ormai era tutto pronto e gli ospiti avevano cominciato a ballare sulle note di una musica d’atmosfera.

Mancava solo il festeggiato che non si era ancora fatto vedere, bisognava solo aspettare.
Nella sala si poteva sentire la musica e il brusio delle chiacchiere, quando, a un tratto, le luci si spensero e si sentì un urlo terrificante: “HANNO RUBATO LA TORTA!”.

Gli ospiti si voltarono all’improvviso e, quando le luci si riaccesero, videro che effettivamente la torta era sparita. In un batter d’occhio, la suspense e la curiosità salirono alle stelle. Tutti erano curiosi di sapere come avrebbe reagito Abdul all’accaduto! Alla sparizione di quella torta che tanto amava…

***

Nel frattempo, in cucina, Abdul contemplava estasiato la sua amata torta, approfittando della confusione: era stato lui infatti a rubarla per un ultimo sguardo prima che venisse offerta agli invitati.

La torta non era stata fatta a caso: era identica a quella che aveva preparato la madre per il suo stesso compleanno, prima di essere rapita, tranne che per le scorzette d’arancia. Abdul amava ricordarla così.

Ma, mentre era immerso in questi pensieri, un uomo con il volto coperto da un passamontagna si avventò su di lui e lo colpì alla testa per ferirlo poi con il manico di un coltellaccio da cucina. Senza fare in tempo a rendersi conto di ciò che stava accadendo, venne quindi pugnalato ripetutamente al collo, alla testa e alla schiena.

Capitolo 5

Beth Smith, la regina dei casi

Per il caso venne immediatamente ingaggiata Beth Smith, l’investigatrice privata migliore di tutti gli Stati Uniti.

Aveva 35 anni, era nata a New York e viveva nel distretto di Manhattan, in uno dei grattacieli più lussuosi della città. I suoi capelli erano rossi, ondulati e ben curati. Aveva gli occhi castani, era alta e snella.

Era una donna raffinata e molto elegante, astuta ed intelligente.

Aveva un carattere calmo, serafico, era molto sicura di sé ed era dotata di un intuito fino.

Non reagiva d’istinto, ma osservava tutti i dettagli prima di agire.

Lavorava con metodo deduttivo. Era molto meticolosa e attenta ad ogni piccolo particolare perché, secondo lei, anche i dettagli più insignificanti potevano essere utili per incastrare i criminali.

Conosceva la maggior parte dei giudici del suo Paese, era sempre molto aggiornata e si avvaleva dei migliori collaboratori. Era anche una gran lavoratrice: era la prima ad arrivare in ufficio e l’ultima ad uscirne, ma non si mostrava mai stanca. Beth Smith era conosciuta a livello internazionale come la “Regina dei casi” perché riusciva sempre a scoprire la verità e a trovare il colpevole: vincere era nella sua natura.

Finora aveva risolto più di 300 casi: 0 sconfitte, 300 vittorie!

Aveva iniziato risolvendo piccoli omicidi ma ora era famosissima e a lei venivano affidati i casi più importanti e più difficili da risolvere.

Capitolo 6

Qualcuno tra di noi

La sala dei festeggiamenti venne sgomberata immediatamente; il cadavere di Abdul fu coperto con un telo bianco; il giradischi rimase a disposizione per l’analisi delle impronte digitali e la zona della teca refrigerata, dove era posta la torta, sbarrata da nastri a strisce bianche e nere. Tutte le tracce vennero lasciate intatte nella speranza di poterle ricondurre all’omicida, anche se – con quei pochi indizi – la caccia all’assassino si sarebbe rivelata più complessa e intricata del previsto.

Miranda, in lacrime per la morte del marito, aveva già avvisato la più popolare e gettonata investigatrice Beth Smith, la quale – sul luogo del delitto – avrebbe aiutato la polizia di New York a recuperare informazioni grazie ad un primo interrogatorio a quest’ultima, da cui anch’ella sperava di ottenere indicazioni preziose che le avrebbero consentito di arrivare direttamente all’assassino, mentre gli agenti di polizia si sarebbero concentrati sulla ricerca di nuovi indizi, oltre ai più evidenti già trovati.

La luce nel salone, in cucina, in soggiorno e nelle piccole stanzette lungo il corridoio non era più tornata dalla scomparsa di Abdul. Alla centralina elettrica erano stati staccati con forza i fili che avrebbero permesso un’illuminazione completa delle varie parti della suite prenotata dai due coniugi.

La pattuglia armata della polizia si sarebbe divisa in due gruppi: il primo, guidato dal Maggiore Price e seguito da un gruppo di sei agenti, con il compito di ispezionare la cucina e le stanze sul corridoio; il secondo, guidato dal Caporal Maggiore Bruce accompagnato da otto guardie, che avrebbe invece controllato il soggiorno e la sala da ballo.

Beth Smith avrebbe interrogato la moglie di Abdul appena fuori dalla suite.

“La missione inizia ora, muoviamoci! Occhi aperti e non tralasciate nessun dettaglio. Lavorate insieme e non separatevi mai dal gruppo. Via! Via! Via!” – intonarono i comandanti dei due gruppi di ricerca.

Il soggiorno pareva non essere stato toccato, ma la squadra del Maggiore Price trovò parecchi indizi sospetti nelle stanze da ispezionare. I primi tre nelle due stanze in fondo al corridoio: gli stessi zerbini rossi all’entrata di ambedue le camere; i candelabri identici lasciati sul pavimento accanto alla parete di destra, subito dopo l’ingresso alle camere; l’apertura delle porte in senso orario e non viceversa.

Una veloce occhiata alle due stanze bastò al Maggiore per dedurre di avere bisogno di più tempo per recuperare le informazioni di interesse: un semplice foglietto con la scritta “DA ISPEZIONARE” sarebbe bastato, se non altro fino al momento in cui la squadra non si fosse imbattuta in una spiegazione plausibile dell’utilità di quelle due camere.

Dalla cucina, invece, emerse un indizio tanto raccapricciante quanto fondamentale: nel cassetto degli utensili, una foto a colori – molto sfocata e intrisa di sangue – di Abdul, immortalato di profilo, allegro e sorridente. Sembrava che qualcuno l’avesse afferrata con le mani sporche di sangue.

Sul retro della fotografia erano segnate le parole: “Io ti avevo avvertito…ora è troppo tardi per impedire che accada”, una frase sicuramente collegata alla morte di Abdul, ma l’identità di mittente e destinatario davano vita a un altro mistero.

“E, mi dica, come hanno reagito i Suoi genitori all’idea della festa di compleanno, signora Aldericci?? – procedeva nel frattempo l’investigatrice Smith.

“Beh, i miei genitori non mi hanno mai impedito di vivere serenamente la mia vita con Abdul, nonostante le origini così diverse. Tuttavia, ora loro non sono a Manhattan e una settimana prima dei festeggiamenti per il compleanno di mio marito mi avevano avvisato che sarebbero partiti per un viaggio programmato da tempo. Chiaramente, vista la distanza, anche mio suocero non avrebbe potuto partecipare a questa festa”.

“E Lei conosce qualcuno tra gli amici di Abdul invitati alla festa o, comunque, Suo marito gliene aveva mai parlato?”.

“Conosco talmente poco dei suoi amici… Qualche volta mi ha parlato di certe persone con cui si divertiva a giocare a poker e a scommettere, ma non ho mai fatto attenzione ai loro nomi. Mi spiace non poterLa aiutare in questa circostanza, ma – a giudicare da come hanno preso parte alla cerimonia – mi hanno dato l’impressione di soggetti un po’ “asfissianti” nei riguardi di mio marito, quasi che non vedessero di buon occhio il nostro matrimonio. In ogni caso, per le informazioni che possiedo, non troverei una motivazione che giustifichi tale gesto”.

Miranda osservò l’investigatrice annotare quanto dichiarato su un taccuino giallo con bordatura nera e si girò in direzione della suite dove il Maggiore Price aveva avvisato il corrispondente dell’altra pattuglia di raggiungerli al più presto nella cucina. “Ok, Maggiore” – rispose Bruce, aggiungendo al messaggio: “Terminiamo l’ispezione del salone e La raggiungiamo”.

Durante l’operazione di controllo della sala, la ricetrasmittente del Caporal Maggiore vibrò ed emise una serie di rumori simili a tonfi con parole confuse e indecifrabili. Sembrava che la squadra necessitasse di aiuto e poco dopo le due pattuglie si ritrovarono al completo nella cucina.

I rumori catturati dal walkie-talkie – in realtà – erano riferiti alla caduta di un agente, inciampato inavvertitamente in uno stuoino di colore rosso che aveva rivelato la presenza di una botola, sulla quale le due squadre si erano quindi concentrate. Verificarono così che il passaggio non arrivava molto in profondità, eppure, a osservarlo alla luce delle torce, sembrava fatto apposta per nascondere terribili verità.

I poliziotti usarono le scale alla parete per scendere e si fecero strada attraverso cunicoli lunghi e cupi, prima di giungere al bivio che li avrebbe divisi nuovamente in due squadre separate.

Sulla piantina del piano terreno del Grand Hotel, dove era stata organizzata la cerimonia, il passaggio nascosto ovviamente non risultava e l’ispezione aveva accertato che l’ambiente somigliava vagamente a una “Y”, dove, al termine delle diramazioni del condotto principale, vi era una parete con una scaletta che saliva verticalmente.

Una volta usciti dal passaggio sotterraneo, Bruce e la sua squadra si accorsero di trovarsi in una delle due camere gemelle situate in fondo al corridoio. Ma c’era un dettaglio che li lasciò confusi per qualche secondo: il candelabro accostato alla parete era stato movimentato e questo non poteva che segnalare la presenza di qualcun altro lì con loro al piano terreno.

Il Caporal Maggiore si avvicinò allora alla porta e la aprì piano piano ispezionando attentamente il corridoio. Dopo qualche istante vide aprirsi la porta dell’ultima stanza. Avevano colto il possibile omicida con le mani nel sacco…ma perché questi avrebbe dovuto rimanere sul luogo del delitto?

“Mani in alto e in ginocchio!” – tuonò nel corridoio la voce grave e altisonante di Bruce.

“Caporal Maggiore, sono io, Price. Non spari! Io e la mia pattuglia siamo sbucati in questa piccola stanza, un agente ha urtato il candelabro. La botola da cui abbiamo avuto accesso alla camera era coperta da uno zerbino rosso, come quello su cui l’agente Jeremy aveva inciampato in cucina. Questo piano terreno è una vera diavoleria. Chi caspita può avere progettato tutto ciò? Il passaggio sotterraneo deve essere stato realizzato unicamente per agevolare qualcuno negli spostamenti, probabilmente lo stesso colpevole della morte del Signor Jhamaikal!”.

“Bene. Penso che questi indizi siano sufficienti per rintracciare il colpevole. Torniamo alla Centrale e aspettiamo qualche giorno. Posizioniamo delle telecamere nascoste e usiamole per rilevare eventuali movimenti; ho sentito dei rumori prima: l’omicida potrebbe essere ancora qui” – e con un gesto delle dita incitò l’intera pattuglia ad avviarsi verso l’uscita dell’hotel, ormai deserto da quando la notizia relativa all’uccisione di un uomo era finita su tutti i giornali. “Ricordatevi di lasciare tutto com’è, questi indizi sono molto importanti” – aggiunse, prima di recarsi dalla signora Smith.

“Investigatrice…” – pronunciò Price avvicinandosi alle due sedie sull’uscio dell’edificio “…abbiamo perquisito tutte le stanze e trovato alcuni indizi. Io e il mio Caporal Maggiore provvederemo a riferirLe tutto lungo il tragitto per la Centrale. Viene con noi?”.

“Bene, Maggiore. Io e la signora Aldericci seguiremo le vostre vetture fino alla Centrale. La condurrò io a casa sua. Aspetto poi un Suo cenno per tornare sul luogo del delitto, sono disponibile in qualsiasi momento”.

A distanza di qualche giorno, le telecamere rivelarono finalmente la presenza di una sagoma nera in fondo al corridoio. La figura rimaneva lì ferma, appoggiata al muro e questo non fece che accrescere il mistero sulla sua identità.

CAPITOLO 7

Un nuovo inizio per Manhattan

“Driiin-driiin” – squillò il telefono fisso di casa Smith.

“Pronto? Investigatrice Beth Smith, come posso aiutarLa?”. La voce chiara e squillante dell’investigatrice venne sostituita da un breve silenzio, seguito da un “Ok, sarò lì”.

Posato il telefono, afferrò il cappotto dall’appendiabiti, lo indossò e, dopo aver messo in tasca un paio di guanti di pelle nera, si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso l’automobile con passo affrettato. Salì, infilò la chiave, premette l’acceleratore e guidò a velocità sostenuta in direzione della Centrale di polizia. Le indagini sul cadavere di Abdul dovevano continuare. Parcheggiò la vettura a modo e raggiunse frettolosamente Price all’entrata della struttura.

“Siamo pronti a continuare le indagini. Le telecamere hanno ripreso questo, guardi qui. Strano, no? Chi o cosa potrebbe essere? Probabilmente il colpevole non ha ancora abbandonato il luogo del delitto…ma perché mai dovrebbe rimanere lì? Sarà stato cosciente di rischiare di essere scoperto, non Le pare? Questo caso si sta facendo più intricato del previsto, dobbiamo agire nel più breve tempo possibile!” – esclamò il Maggiore.

E così si incamminarono verso le rispettive auto, pronti a raggiungere il Grand Hotel.

***

Nuovamente in albergo, i poliziotti si divisero nei consueti due gruppi e tornarono a controllare l’ambiente.

“Maggiore, Maggiore!” – chiamò un agente delle forze di polizia. “Venga a vedere cosa ho trovato!”. I passi del Maggiore giunsero veloci.

“Bene…” – mormorò Price – “…che la sagoma vista sia responsabile di questa terribile azione?”.

La fotografia di Abdul macchiata di rosso che avevano trovato in cucina era attaccata sulla porta della prima delle due stanze misteriose. “Comincio a sospettare che il colpevole non sia solo uno…” – affermò risoluto.

“Maggiore, probabilmente la sagoma in corridoio voleva essere solo un’immagine per attirare la nostra attenzione; uno stratagemma per evitare di monitorare le altre telecamere” – sentenziò la matricola.

“Sì, agente, forse stiamo sbagliando strada” – ipotizzò il Maggiore.

Nel frattempo, l’investigatrice – intenta ad ispezionare i tavoli del salone – si imbatté nella scritta: “SIR J.I.”, lasciata con un pennarello indelebile sul tavolo a sei posti preparato per i coniugi Jhamaikal e i loro amici. La tovaglia bianca di cotone inamidato aveva nascosto quell’ulteriore suggerimento fino a poco prima. Indizio curioso da annotare sul taccuino degli appunti e importantissimo per permettere a Beth di aggiungere un nuovo tassello nell’intricata vicenda di quel giorno malaugurato. Da una prima analisi, si intuiva che Abdul fosse stato stordito dall’aggressore con la stessa arma utilizzata per accoltellarlo alle spalle.

“Raggiungetemi nel salone appena possibile, ho trovato qualcosa di estremamente interessante” – suggerì Beth Smith.

“Ok, arriviamo” – risposero all’unisono le due squadre.

Una volta riuniti, gli agenti osservarono attentamente la scritta sul tavolo e Beth affermò: “Poco da dire, questo indizio potrebbe portarci alla risoluzione del caso perché “SIR J.I.” indica senza alcun dubbio il nome di Jackson Italiana, ma prima di affermare che sia lui il colpevole occorre essere cauti”.

“E invece, cara ispettrice, penso proprio che Lei non sbagli” – disse il Maggiore che si fermò un attimo e ragionò sugli indizi raccolti. “Sul retro della foto trovata, oltre al messaggio, sono riportate le stesse iniziali. Abbiamo dovuto analizzare la foto con una torcia a infrarossi per notarlo e così abbiamo scoperto che la carta è intestata con queste iniziali”.

“Sicuramente la Signora Aldericci saprà dirci qualcosa di questo signore. Chissà, magari non ha avuto buoni rapporti con Abdul…devo informarmi. Aspettatemi qui, sarò di ritorno tra un’oretta circa” – concluse Beth.

E, così dicendo, abbandonò la Centrale, salì in macchina e si avviò verso casa Aldericci.

“Jackson era l’unico amico di Abdul di cui posso dirLe qualcosa in più rispetto agli altri” – confermò Miranda alla domanda dell’investigatrice. “Mi è sempre parso un uomo gentile e non penso che possa avere commesso questo omicidio. A che scopo? Nonostante negli ultimi tempi io abbia avuto qualche litigio con mio marito e nonostante la mia clinica fosse ormai quasi interamente sotto il suo controllo, lo amavo profondamente”.

“Capisco…e Lei quali pensa che siano stati i motivi che abbiano portato all’uccisione di Abdul?” – chiese Beth senza indugio.

“L’unica idea che mi sono fatta riguarda il diritto di proprietà sulla clinica Aldericci. Immagino c’entrino gli incassi e la quota investita a suo tempo da mio marito, che gli era stata prestata proprio da Jackson. Ultimamente non navigava in buone acque la sua palestra e aveva chiesto a Abdul di rendergli i soldi che gli aveva anticipato ma mio marito aveva rifiutato, visto che nell’ultimo periodo anche i nostri guadagni erano in forte calo. Anche Jackson mi aveva detto di avere bisogno di un po’ di soldi per riavviare la sua attività in palestra, pertanto gli avevo offerto un posto come consulente medico sportivo. In clinica i guadagni si sono sempre basati sul numero di pazienti in carico al singolo professionista e, grazie al suo carattere così solare, quelli di Abdul erano in numero sempre maggiore rispetto a quelli miei e di Jackson e questo – in effetti – avrebbe potuto suscitare le sue invidie.  Ma, come socia di maggioranza della clinica, Jackson sapeva che avrebbe potuto ricevere senza problemi il prestito da me e – una volta ripartita la sua attività – mi avrebbe restituito il denaro. Così infatti abbiamo fatto. Aveva pure detto che mi avrebbe fatto consegnare i soldi dal fratello Diego perché lui sarebbe poi dovuto partire. Ma su questo punto ho delle riserve, non vorrei fornirLe informazioni scorrette, ispettrice”.

“Grazie, signora Aldericci. Adesso devo tornare alle indagini. Non penso di essere lontana dalla risoluzione del caso”.

“Ok, se dovesse avere bisogno di ulteriori necessità, mi trova qui. E, per favore, mi faccia sapere se riesce a indagare anche sulla scomparsa della torta: era un ricordo prezioso dei difficili trascorsi familiari di mio marito e simboleggiava la vittoria del presente e la speranza per l’immediato futuro. Gliene sarei davvero grata”.

***

Tornata sul luogo del delitto, l’ispettrice informò le squadre di polizia delle novità raccolte a casa di Miranda ed espose loro la sua visione dei fatti.

“Jackson risulterebbe colpevole: la mancanza di liquidi e l’invidia lo avrebbero spinto a uccidere Abdul per rilevare la quota dell’amico o almeno per ottenere un maggior numero di pazienti nella clinica e aumentare così i suoi guadagni. Approfittando del black-out, si sarebbe recato in una delle due stanze in fondo al corridoio e, usando il passaggio sotterraneo, si sarebbe spostato verso la cucina, dove, una volta uscito dalla botola alle spalle di Abdul, l’avrebbe accoltellato, dopo averlo stordito. L’attenzione sui rumori e le operazioni successive al delitto sarebbe stata deviata dal vociare degli invitati, allarmati dall’improvviso black-out. La centralina dell’elettricità si trova all’esterno dell’edificio, ciò significa una sola cosa: Jackson non può essere stato l’unico colpevole, qualcun altro è stato suo complice e, forse, si tratta del fratello Diego. La signora Miranda mi ha riportato di avere discusso con Jackson in merito alla possibilità di ricevere una certa somma di denaro e che la riconsegna sarebbe potuto avvenire – con ogni probabilità – per il tramite del fratello, in quanto egli era impegnato fuori Manhattan. Questo getterebbe anche luce sul fatto che Jackson aveva progettato tutto già prima della morte di Abdul: l’avrebbe ucciso durante i festeggiamenti di compleanno e successivamente se la sarebbe data a gambe per evitare di essere sbattuto in prigione, affidando al fratello il compito di restituire il denaro in modo da non destare sospetti per questo movimento di denaro. E, per finire, conoscendo la sua vittima da lunga data, Jackson si sarebbe vendicato dell’amico. Anche la scomparsa della torta su cui Miranda mi aveva chiesto di indagare personalmente, essendo una memoria preziosa per Abdul, un ricordo che lo aveva segnato per tutta la vita, si spiega: la sua morte sarebbe stata così legata alle circostanze misteriose di quella della madre, creando ulteriore confusione nelle indagini. Ma – ciliegina sulla torta per ogni delitto che si rispetti – c’è un terzo colpevole, anzi, una terza colpevole! Se esaminate il messaggio riportato su questo cartoncino, che ho trovato nella teca refrigerata del carrello, vi accorgerete di una cosa strana.” – e porse il cartoncino al Maggiore Price. “C’è scritto <Cialde Cri>. Queste lettere compongono un anagramma del nome della signora Aldericci. Chi l’ha scritto è presumibilmente Jackson. In ogni caso, se girate il cartoncino e lo ispezionate con questa torcia a raggi infrarossi, vi accorgerete della presenza delle parole “è colpevole” – si fermò un secondo e poi riprese a parlare.

“Miranda è colpevole. Sì, anche la signora Aldericci lo è. Sebbene mi abbia raccontato di amare Abdul, in realtà il suo cuore batteva per Jackson e così i due avevano progettato l’omicidio dello stesso e le successive nozze, ma Jackson forse ha cominciato a dubitare del piano e, temendo di essere individuato come colpevole, ha pensato di lasciare questo indizio. Sicuramente la polizia lo avrebbe notato e avrebbe scoperto facilmente che celava il nome di Miranda, gettando i sospetti su di lei e ritardando il momento dell’interrogatorio a lui, cosa che gli avrebbe permesso di avere più tempo per fuggire e nascondersi.  Un bel piano non trova, Maggiore? D’altro canto anche Miranda ha fatto la stessa cosa cercando di indirizzare i sospetti sul complice lasciando l’indicazione delle iniziali dell’amante sul tavolo. Insomma i due erano innamorati ma pronti a sacrificare l’altro per salvarsi ”.

“Assolutamente, investigatrice Smith. E cosa pensa che fosse l’ombra ripresa dalle telecamere?”.

“Giusto, quasi dimenticavo! Quell’ombra, Price, non era assolutamente nulla. L’effetto era semplicemente dato dal lieve oscuramento della telecamera dovuto al passaggio dall’ora legale a quella solare. Ora però dobbiamo correre a prendere i tre delinquenti, forza, prima che scappino!”.

Così, le pattuglie si divisero. Beth, scortata dalla squadra di Price, tornò verso casa della signora Aldericci, sorpresa a fare in fretta e furia i bagagli per una fantomatica destinazione lontana da Manhattan. L’altra squadra si diresse invece a casa Italiana, dove bloccò Diego e ricevette da questi le coordinate per individuare il fratello Jackson.

Il caso della torta scomparsa venne considerato chiuso e tornò alla ribalta sui maggiori quotidiani nazionali e internazionali.

Come sempre l’investigatrice Smith si era riconfermata la migliore in campo e, questa volta, grazie a un tocco di pura dolcezza!

***

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